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            |  
               Un 
            commento alla nuova legge urbanistica              |    
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               14 
                ottobre 2005              |      
"Un 
commento alla nuova legge urbanistica nazionale e alcune proposte alternative”. 
Un notevole saggio in corso di pubblicazione sul n. 3-2005 della rivista Democrazia 
e Diritto. La cosiddetta “legge Lupi” è il nuovo disegno di legge nazionale intitolato 
“Principi in materia di governo del territorio”, approvato dalla Camera dei deputati 
il 28 giugno 2005 e ora iscritto al Senato con il n. 3519. Il testo votato 
è destinato a sostituire buona parte delle leggi urbanistiche vigenti, dalla legge 
1150 del 1942 a quelle che negli anni ’60 trattano dell’interesse pubblico 
nelle azioni urbanistiche, prevedendone l’abrogazione diretta[1] o la decadenza 
ove le Regioni emanino normative sui medesimi oggetti[2]. Il disegno di legge 
risulta dall’unificazione di otto disegni di legge diversi, presentati da gruppi 
di deputati che vanno da AN e Forza Italia a Margherita, DS, Verdi e Rifondazione, 
e da numerosi emendamenti approvati alla Camera prima del voto sul provvedimento 
complessivo. Oggetto di un voto segreto parzialmente bipartisan[3] difficilmente 
comprensibile, spiegabile forse soltanto con la scarsa cultura urbanistica e dei 
beni comuni che caratterizza gran parte degli attuali deputati[4], è caduto nell’assordante 
silenzio[5] della stampa, occupata a fornirci quotidianamente notizie il più possibile 
inessenziali. Lo scandalo non sta tanto nei voti della sinistra a una legge di 
destra, al di là del fatto che questi termini abbiano ancora un significato in 
molte scelte relative al rapporto tra pubblico e privato, ma nell’ampia approvazione 
data a uno strumento il cui impianto e i cui contenuti, malgrado dichiarazioni 
sfacciate che l’hanno definito “una delle riforme più importanti per la modernizzazione 
del nostro paese”[6], sono assai arretrati e confusi rispetto alle discipline 
in essere nei principali paesi occidentali avanzati, senza neppure costituire 
una legge quadro che riorganizzi l’intera materia in modo sistematico. La legge 
in effetti si limita a disciplinare la sola materia urbanistica[7], non affrontando 
né la definizione di governo del territorio né gli altri temi che la sostanziano: 
paesaggio, ambiente, assetto idrogeologico, ecc.[8]. Le valutazioni politiche 
più sobrie evidenziano la confusione di ruoli tra soggetti pubblici e privati[9]; 
il riferimento ad alcuni contenuti di leggi regionali già vigenti anziché l’elaborazione 
di principi adeguati a una legge nazionale, quali la partecipazione democratica 
dei cittadini alla formazione degli atti di governo e la sostenibilità ambientale[10]; 
l’intrusione del governo nazionale in materie delegate alle Regioni, la scarsa 
innovazione e l’eccessiva flessibilità, l’assenza di contenuti relativi alle funzioni 
settoriali proprie dello Stato e alla loro necessaria integrazione nelle azioni 
di programmazione e pianificazione, la mancata soluzione della dipendenza finanziaria 
dei Comuni dall’ICI e quindi la loro condanna a perseguire immotivate politiche 
di espansione dell’urbanizzato per far quadrare il bilancio[11] in una perversa 
alleanza con le forze immobiliariste. Dei diversi contenuti del disegno di legge 
tentiamo un commento il più possibile ragionato, con l’augurio di vederlo pubblicato 
e letto prima del voto in Senato. Per poter dare una valutazione non tattica del 
testo normativo è tuttavia necessario delineare per sommi capi il contesto in 
cui esso interviene, caratterizzato da profondi cambiamenti intervenuti negli 
ultimi decenni: a quali problematiche relative alle trasformazioni territoriali 
occorre far oggi riferimento? Quali nuovi ruoli può giocare il territorio nelle 
scelte di sviluppo locale? Come cambiano le funzioni di governo del territorio 
e degli enti pubblici territoriali? i Magnaghi, 
Alberto; Marson, Anna www.eddyburg.it, Data di pubblicazione: 04.10.2005   |   
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               Immobili 
                leggi e affari: Le mani sulla città              | 
             |  
               30 
                giugno 2005 
             |      
"Ricucci, 
Coppola, Statuto, le loro fidanzate e mogli, le Bmw e gli amici, i loro protettori 
politici... Sono il tema del giorno, della politica e dell'economia; sono da mesi 
sulle prime pagine dei giornali, forse perché molto appariscenti o forse perché 
qualche giornale vogliono comprarselo; danno corpo e facce alla rendita immobiliare, 
l'unica realtà dell'economia italiana che gode di ottima salute e che hanno rivestito 
e travestito con uno spigliato look finanziario. Del tutto fuori dai riflettori, 
anzi seminascosta al grande pubblico, è passata invece una notizia che con la 
rendita immobiliare e con i suoi eroi ha parecchio a che vedere: l'approvazione 
da parte della camera dei deputati di una riforma urbanistica che premia al valore 
i suddetti eroi - e tanti altri, anche più antichi -chiamando i proprietari fondiari 
a scrivere i piani regolatori. La riforma porta il nome di Maurizio Lupi, astro 
emergente - anzi ormai emerso - di Forza Italia, ramo lombardo-ciellino, 
che già ne aveva ideato il prototipo da giovane assessore all'urbanistica milanese. 
Uno dei suoi capisaldi è la sostituzione degli «atti 
autoritativi» con gli «atti negoziali». La scelta linguistica è abile: 
come non essere d'accordo? Non siamo tutti per il negoziato e contro l'autoritarismo? 
Senonché tradotto in urbanistica questo vuoi dire che i 
comuni dovranno contrattare i piani regolatori e le loro varianti con i soggetti 
economici interessati: i costruttori, i proprietari delle aree, gli intermediari, 
i fondi immobiliari. Come far scrivere alle volpi le regole sui pollai. 
Ma non è tutto. La riforma - che per diventare legge attende ancora il 
via libera del senato - elimina anche i vecchi e rigidi «standard urbanistici», 
quell'antico armamentario in base al quale ognuno di noi cittadini di un certo 
quartiere aveva diritto, almeno sulla carta, a un tot di verde, un tot di servizi 
collettivi, un tot di spazi comuni. Con l'urbanistica nuovo modello, il livello 
minimo di servizi e spazi è solo un auspicio mentre gli standard diventano flessibili 
e - manco a dirlo - contrattati. Ciliegine: si introduce 
il silenzio assenso per le concessioni edilizie; la tutela del paesaggio è scorporata, 
non ha più niente a che vedere con la pianificazione delle città. Tra 
gli addetti ai lavori che seguono la riforma, i fautori - tutta la destra ma anche, 
con distinguo vari, parte del centrosinistra - la dipingono come una modernizzazione, 
che sancisce la fine del dirigismo del vecchio piano regolatore a favore di una 
più disinvolta gestione della realtà. Mentre il drappello degli urbanisti in solitària 
rivolta contro la legge Lupi parla di «trionfo della rendita». Sta di fatto che 
siamo al termine di un decennio eccezionale per tutto il settore economico che 
gravita intorno agli immobili: compravendite, valorizzazioni, affitti, intermediazioni, 
ristrutturazioni, e adesso anche nuove costruzioni, sono le sole voci con segno 
«più» nei bilanci italiani. Alla fine della corsa, arriva una legge che da un 
ruolo «pubblico» ai privati miracolati dalla bolla immobiliare. Chiamandoli a 
sedere attorno a un tavolo che possiamo immaginare così: di qua, i sin-daci e 
gli assessori dei nostri comuni sempre più poveri e indebitati; di là, i soggetti 
economici privati con i portafogli ben rigonfi. Chissà chi condurrà il gioco. 
Ma al di là del merito della legge, quel che colpisce è il silenzio-assenso 
generale nel quale sta passando, soprattutto se confrontato con il gran chiasso 
che circonda in questi mesi il boom della rendita immobiliare. Qualcosa di simile 
si è Visto sulla questione della giustizia, quando mezza Italia si è mobilitata 
contro la norma particolare salva-Previti e poi ha smobilitato quando si è passati 
all'assalto generale alla giustizia. Anche stavolta, si guarda al singolo caso 
presente -l'exploit di un oscuro intermediario immobiliare che adesso ha la pretesa 
di comprare banche e giornali - e ci si disinteressa della generalità dei casi 
futuri. Cioè, della faccia delle nostre città. " ROBERTA 
CARLINI Il Manifesto, 01/07/2005   |   
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            |  
               Primo 
                sì alla legge urbanistica              | 
             |  
               30 
                giugno 2005 
             |      
"La 
legge urbanistica si prepara la svolta: il disegno di legge approvato dalla Camera, 
fissa le competenze tra Stato e autonomie dopo le modifiche alla Costituzione 
C'è anche il silenzio-assenso per la concessione edilizia nel disegno di 
legge sul governo del territorio approvato dalla Camera martedì. L'ha introdotta, 
proprio all'ultimo comma, l'ultimo emendamento approvato su proposta di Forza 
Italia: quello che introduce l'articolo 13 con l'elenco delle norme da considerare 
abrogate in quanto incompatibili con la nuova disciplina. Il silenzio assenso 
sostituisce il silenzio rifiuto previsto oggi al comma 9 dell'articolo 20 del 
testo unico s u l l ' e d i l i z i a ( Dpr 380/ 2001). La modifica, qualora la 
legge fosse approvata anche dal Senato, comporterebbe un ulteriore spostamento 
delle domande dallo strumento della Super Dia, prevista nello stesso testo unico, 
verso la concessione. Un movimento già in atto, visto che non pochi sostengono 
già oggi che il procedimento della Super Dia tutela poco chi lo utilizza nel caso 
di pesanti operazioni di ristrutturazione. A confermare il passo indietro sulla 
Superdia è lo stessa legge varata da Montecitorio. Dopo il braccio di ferro con 
cui lo Stato aveva imposto alle Regioni l'allargamento della Dia, ora la " legge 
Lupi", attentissima a un rapporto equilibrato con i Governatori, fa una parziale 
marcia indietro: e lascia libere le Regioni, con il comma 1 dell'articolo 11, 
di individuare « le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai 
quali l'interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività 
in luogo della domanda di permesso di costruire » . Ma la legge sul governo del 
territorio è soprattutto riforma della legge urbanistica del 1942 ( è la n. 1150) 
e ammodernamento degli strumenti urbanistici. Con l'obiettivo di sanare dieci 
anni di ritardo della legislazione statale rispetto alle legislazioni regionali 
e di consolidare le discipline regionali, andate avanti a forza di strappi. Formalmente, 
la legge approvata a Montecitorio è anche la prima legge di principi dello Stato 
sulle materie a competenza concorrente. Una legge leggera nella forma ( qualche 
detrattore la definisce " legge di slogan") ma pesante nella sostanza. Il salto 
rispetto alla disciplina statale vigente è enorme — una specie di crollo del muro 
di Berlino — con l'abbandono della vecchia urbanistica dirigista fondata sul Piano 
regolatore unico e sugli espropri e l'avvio di una nuova urbanistica cui non manca 
nessuno degli strumenti innovativi sperimentati dalle Regioni in questi anni: 
! lo sdoppiamento del vecchio Piano regolatore generale, ora « piano urbanistico 
» comunale in « strutturale » per le invarianti di lungo periodo e « operativo 
» con le destinazioni di uso delle aree ( articolo 6); " l'utilizzo di strumenti 
di redistribuzione dei « diritti edificatori » all'interno di comparti omogenei, 
come la compensazione e la perequazione ( articolo 9); # la priorità data agli 
interventi di rinnovo urbano rispetto alla nuova edificazione ( articolo 6, comma 
4); $ il principio di sussidiarietà verticale che elimina le sovrapposizioni di 
competenza fra Regioni, Province e Comuni, assegnando al Comune le competenze 
di pianificazione urbanistica e di « soggetto primario titolare delle funzioni 
di governo del territorio » ( articolo 5); % le premialità assegnate in termini 
di metri cubi aggiuntivi « al fine di favorire il rinnovo ubrano e la prevenzione 
di rischi naturali e tecnologici » ( articolo 9, comma 4); la legittimazione definitiva 
di strumenti di urbanistica negoziata che qui vengono individuati come prioritari 
ed elevati a sistema, per quanto debbano avvenire « nel rispetto dei principi 
di imparzialità amministrativa, di trasparenza, di concorernzialità, di pubblicità 
e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all'intervento 
» ( articolo 5, comma 4); ' la sostanziale riforma degli « standard » che abbandona 
il rigido rapporto quantitativo fra aree edificabili e aree da destinare agli 
interessi collettivi per prevedere, invece, in funzione della necessità delle 
singole aree, lo sviluppo di servizi adeguati ( si pensi a parcheggi o a centri 
sportivi) che potranno anche essere forniti direttamente da privati anziché attraverso 
il circuito esproprio opera pubblica ( articolo 7). Recepiti gli strumenti sperimentati 
in sede locale Dai privati le aree per parcheggi e centri sportivi" Il 
Sole 24-Ore - 30 giugno 2005    |   
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            |  
               Approvata 
                alla camera              | 
             |  
               giugno 
                2005 
             |      "Così, 
ce l’hanno fatta. La legge Lupi è stata approvata dalla Camera dei Deputati. Con 
l’appoggio del centrosinistra: è una legge bipartisan, ha detto l’on. Mantini, 
della Margherita. E il diessino on. Sandri aveva ripetuto spesso che il limite 
della legge è di essere “solo” una legge urbanistica, di non affrontare le altre 
questioni che, insieme all’urbanistica, compongono il più vasto quadro del governo 
del territorio. Il rovesciamento dell’urbanistica, il trasferimento di poteri 
dal pubblico al privato, l’ingresso formale della rendita immobiliare al tavolo 
dove si decide, questa è la linea che ha vinto: con l’accordo pieno della Margherita, 
la complicità dei DS, l’ignavia degli altri. E con la copertura culturale dell’Istituto 
nazionale di urbanistica, nel silenzio dell’accademia. I lettori di Eddyburg sanno 
perchè quella legge è nefasta. Ne abbiamo parlato in numerosi articoli. Abbiamo 
promosso un appello, sul quale abbiamo raccolto 400 firme. Dall’appello, riprendiamo 
i punti essenziali della critica. 1) Si sostituiscono gli “atti autoritativi”, 
e cioè la normale attività pubblica di pianificazione, con gli “atti negoziali 
con i soggetti interessati”. La relazione di accompagnamento della legge specifica 
che i soggetti interessati non si identificano – come sarebbe auspicabile - con 
la pluralità dei cittadini che hanno diritto ad avere una ambiente urbano vivibile 
e salubre, ma si identificano invece con la ristretta cerchia degli operatori 
economici. Un diritto collettivo viene dunque sostituito con la sommatoria di 
interessi particolari: prevalenti, quelli immobiliari. I luoghi della vita comune, 
le città e il territorio vengono affidati alle convenienze del mercato. 2) Si 
sopprime l’obbligo di riservare determinate quantità di aree alle esigenze di 
verde, servizi collettivi (scuole, sanità, sport, cultura, ricreazione) e spazi 
di vita comuni per i cittadini, ottenuto decenni fa grazie a un impegno massiccio 
delle associazioni culturali, delle organizzazioni sindacali, del movimento associativo 
e di quello femminile, delle forze politiche attente alle esigenze della società. 
Gli “standard urbanistici” sono infatti sostituiti dalla raccomandazione di “garantire 
comunque un livello minimo” di attrezzature e servizi, “anche con il concorso 
di soggetti privati”. 3) Si esclude la tutela del paesaggio e dei beni culturali 
dagli impegni della pianificazione ordinaria delle città e del territorio. Contraddicendo 
una linea di pensiero che, da oltre mezzo secolo, aveva tentato di integrare con 
la pianificazione i diversi aspetti e interessi sul territorio in una visione 
pubblica unitaria, contraddicendo gli indirizzi culturali e legislativi che dalle 
leggi del 1939 e del 1942 avevano condotto alla “legge Galasso” e alle successive 
leggi regionali, paesaggio e trasformazioni territoriali sono divisi: affidati 
a leggi diverse, a uomini diversi, a strumenti diversi. Non c’è dubbio a chi spetterà 
la parola in caso di contrasti: non certo a chi rappresenta i musei e il bel Paese, 
ma a chi investe, occupa, trasforma, agli “energumeni del cemento armato”, pubblico 
e privato. Una legge che rende permanenti le regole della distruzione del paese, 
avviate con i condoni. Una legge che rende evanescenti i diritti sociali della 
città, conquistati al prezzo di dure lotte. Una legge che rende dominanti su tutti 
gli interessi della rendita immobiliare. E su quest’ultimo punto il cedimento 
della componente diessina della sinistra alle impostazioni di Forza Italia non 
può non essere messa in relazione con altre vicende. Anche a non voler ricordare 
le voci sugli intrecci tra la “finanza rossa”, i suoi patron politici e le fortune 
degli immobiliaristi alla Ricucci, occorrerebbe essere davvero ingenui per non 
vedere il nesso che lega il comportamento dei parlamentari dei DS con le politiche 
locali che vedono esponenti di quel partito premiare gli interessi della proprietà 
immobiliare, a Caorle come nella riviera romagnola come nell’Agro romano. E come 
non sottolineare infine la contraddizione tra una politica, coerentemente tesa 
a premiare la rendita, con la constatazione che il declino industriale dell’Italia 
dipende, in modo essenziale, sul fatto che si sono tollerati, o addirittura incoraggiati, 
flussi di investimenti verso la speculazione immobiliare, distraendoli così dagli 
impieghi produttivi? Non tutto è ancora perduto. La parola spetta adesso al Senato. 
La denuncia ha ancora una sede cui fare appello, la ragione ha ancora uno spazio 
per farsi sentire." Edoardo 
Salzano 
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            |  
               URBANISTICA 
            una legge da fermare              |    |  
               20 
                marzo 2005 
             |      
"Competitività. 
La nuova disciplina delle Teresa Cannarozzo, ordinario di Urbanistica, Università 
di Palermo Alessandro Dal Piaz, ordinario di Urbanistica, Università di Napoli, 
Federico II Tommaso Giura Longo, ordinario di Progettazione Architettonica, Università 
di Roma Tre. Cara Unità, sembrerebbe che quasi tutta la stampa italiana abbia 
"rapporti di parentela aziendale" con i formidabili interessi immobiliari che 
dominano lo sviluppo urbano nel nostro paese. Infatti finora solo l'Unità (8 febbraio 
u. s.) ha trovato lo spazio per dare voce a chi si oppone alla legge urbanistica 
proposta dall'on. Lupi, che è andata in discussione alla camera dei Deputati. 
Una di queste voci è quella di Vittorio Emiliani che, autorevole e allarmata, 
vede nella legge Lupi lo strumento per subordinare la definizione dei piani 
urbanistici alle volontà dei privati proprietari di aree, delle società immobiliari 
e dei "palazzinari". La stessa posizione di Emiliani è stata assunta dalla 
benemerita associazione Italia Nostra e dai noti urbanisti Vezio De Lucia ed Edoardo 
Salzano che esortano alla mobilitazione contro la legge Lupi. Crediamo giusto 
aderire al fronte degli oppositori per i seguenti tre motivi:  - 
Il testo di legge in discussione priverà i comuni dei loro poteri fondamentli 
e democratici e li spingerà a contrattare con gli speculatori il destino futuro 
delle città; -  
comporterà l'abolizione del rispetto degli standard urbanistici (verde pubblico, 
parcheggi, scuole, sport, attrezzature pubbliche);  - 
la tutela del paesaggio e dei beni culturali non farà parte dei compiti spettanti 
alla pianificazione delle città e del loro territorio." 20/03/2005 
- L'Unità   |   
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            |  
               La 
                Dia per iniziare un'attività              | 
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               12 
                marzo 2005 
             |      
"Competitività. 
La nuova disciplina delle autorizzazioni modifica la procedura della legge n. 
241/90 Con la p.a. i cittadini fanno da sé Le materie escluse dalla nuova Dia: 
anche tutela del patrimonio culturale e paesaggistico nonché dell'ambiente, oltre 
a difesa nazionale; pubblica sicurezza, immigrazione - Amministrazione della giustizia 
- Amministrazione delle finanze (compresi gli atti riguardanti le reti di acquisizione 
del gettito, derivante anche dal gioco) - Atti imposti dalla normativa comunitaria 
Autorizzazioni, addio. Per la quasi totalità dei casi basterà infatti una Dichiarazione 
di inizio attività del cittadino, comprensiva delle documentazioni e autocertificazioni 
E dopo 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione scatta il silenzio-assenso 
da parte della p.a. direttamente interessata. Una rivoluzione contenuta nel pacchetto 
competitività approvato dal consiglio dei ministri nella seduta di ieri pomeriggio. 
Ma vediamo nel dettaglio la problematica in questione. La disciplina precedente. 
Il precedente testo dell'articolo 19 della legge n. 241/90 (modificato con il 
nuovo di) prevedeva la possibilità di applicare l'istituto della Dichiarazione 
di inizio attività (Dia) «in tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata 
sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nullaosta, permesso 
o altro atto di consenso comunque denominato, a esclusione dei titoli edilizi", 
purché il rilascio dipendesse «esclusivamente dall'accertamento dei presupposti 
e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino 
valutazioni tecniche discrezionali», non prevedendo quindi «alcun limite o contingente 
complessivo per il rilascio degli atti stessi». Il termine per l'ottenimento 
del silenzio-assenso era fissato in 30 giorni. Tale disposizione non era stata 
modificata nel corso degli anni. Di fatto, tuttavia, sia con il dlgs n. 114/98 
(riforma del commercio) sia con il dpr n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia) 
erano stati introdotti specifici meccanismi facilitativi, a favore del cittadino, 
al fine di meglio snellire il rapporto con le p.a. L'intervento legislativo. Il 
nuovo testo dell'articolo 19 della legge n. 241/90 estende ora a tutte le tipologie 
di autorizzazioni amministrative l'istituto delle Denunce di inizio attività, 
già previsto in materia edilizia e commerciale. La Dia sarà infatti possibile 
per qual-siasi tipo di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso 
o nullaosta, comprese anche le domande per le iscrizioni in albi o ruoli per lo 
svolgimento delle attività di impresa, commercio o artigianato. Il rilascio deve 
dipendere solo dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti 
amministrativi a contenuto generale. Non deve essere previsto nessun limite o 
contingente, come neppure l'applicazione di strumenti di programmazione settoriale 
per il rilascio di tali atti. Sono escluse da tale rivoluzione diverse tipologie 
di atti, rilasciati dalle p.a. competenti, indicate nel grafico riportato a fianco. 
Caratteristiche della Dia. La nuova Dia deve ricomprendere una dichiarazione del 
cittadino interessato, corredata anche con autocertificazioni, certificazioni 
e attestazioni richieste dalla disciplina normativa in vigore. Spetta a ciascuna 
p.a. la possibilità (e non più l'obbligo, come originariamente inteso dal legislatore) 
di «richiedere informazioni o certificazioni» che riguardino fatti, stati o qualità, 
e comunque solo nel caso in cui non risultino già attestati in documenti già in 
possesso della stessa p.a. o non siano direttamente ottenibili presso altre p.a. 
Termini di avvio dell'attività. L'attività interessata dalla dichiarazione può 
essere iniziata dopo 30 giorni dalla sua presentazione alla p.a. interessata. 
Di tale avvio deve essere data notizia alla p.a. stessa. Intervento della p.a. 
Nei caso in cui la p.a. competente al rilascio dell'autorizzazione dovesse accertare 
la mancanza delle condizioni, delle modalità e dei fatti che consentono l'ottenimento 
del silenzio-assenso, entro il termine perentorio dei 30 giorni, che scattano 
a seguito dell'avvenuto ricevimento Ottenimento dei pareri. Qualora poi la legge 
dovesse prevedere, per la specifica disciplina di settore, l'ottenimento di pareri 
di organi o enti appositi è sospeso il termine per l'emanazione dei provvedimenti 
di divieto di continuazione dell'attività e di eliminazione dei suoi effetti. 
Tale sospensione vale fino all'avvenuta acquisizione di tali pareri, fino a un 
termine massimo di 30 giorni. Scaduto quest'ultimo termine la p.a. competente 
può adottare i propri provvedimenti, indipendentemente dall'ottenimento del parere. 
Deve essere data comunicazione della sospensione all'interessato. Caso dei termini 
diversi. Il legislatore precisa che restane ferme le disposizioni legislative 
vigenti, che prevedono termini diversi rispetto a quelli sopraccitati per l'inizio 
dell'attività e per l'adozione, da parte della p.a. interessata, dei provvedimenti 
di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti. Un caso 
evidente è quello delle Dia e delle Super-dia in materia di edilizia, disciplinate 
dal dpr n. 380/2001, in combinato disposto con le rispettive leggi regionali in 
materia, per le quali è prevista l'applicazione dei termini inferiori (rispetto 
a quelli indicati dal legislatore nazionale), se espressamente previsti." 12/03/2005, 
Italia Oggi 12-MAR 2005    |   
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               Silenzio 
                assenso finisce nel disegno di legge              | 
             |  
               12 
                marzo 2005 
             |      
"Due 
distinti provvedimenti legislativi fatti su misura per diventare un corpo unico 
azionando la leva parlamentare. Mantiene questa fisionomia il piano per la competitività 
anche dopo le numerose modifiche apportate dal Consiglio dei ministri nel varare 
il decreto legge e il disegno di legge. Prime fra tutte quelle riguardanti il 
capitolo degli incentivi e delle risorse per lo sviluppo e quello della riforma 
delle libere professioni. Nel primo caso è stato ridimensionato, rispetto alle 
bozze dei giorni scorsi, il ruolo di Sviluppo Italia mentre è stato confermato 
il premio di concentrazione per le piccole e medie imprese sotto forma di credito 
d'imposta del 30 per cento. Per le professioni il pacchetto inserito nel DL si 
è leggermente arricchito. Esempi emblematici dell'operazione in due fasi sono 
la riforma del diritto fallimentare, rimasta immutata rispetto alla bozza d'ingresso 
(si veda 11 Sole 24 Ore di ieri), e il piano di semplificazioni. Che riserva però 
una sorpresa: il silenzio-assenso viene dirottato dal DL al disegno di legge . 
Le misure sulla Denuncia di inizio attività (termine di riferimento 30 giorni), 
restano nel decreto ma non si applicheranno ai Beni culturali e paesaggistici(soddisfatto il ministro Giuliano Urbani, anche il ministro Mario Baccini 
parla di «svolta epocale»). Il collegamento tra decreto e Ddl è più sfumato nel 
caso della gestione delle risorse per lo sviluppo (Sud compreso). Confermata la 
riforma degli incentivi. Oltre al premio di concentrazione per le Pmi, il DL sancisce 
poi l'abolizione dell'Ici sui capannoni industriali (abrograzione della norma 
della Finanziaria 2O05 che stabiliva il valore catastale anche dei «fabbricati 
mobili», come turbine elettriche e ponti mobìli). Previsto poi l'irrobustimento 
del Fondo per le aziende in crisi (100 milioni), da cui pere non attingerà direttamente 
risorse Sviluppo Italia. Resterà infatti il Cipe a ricoprire il ruolo principale 
attraverso il Comitato per lo sviluppo (erogazione dei fondi) e il Comitato pei 
l'attrazione degli investimenti entro cui opererà Sviluppo Italia. Sempre il decreto 
prevede la destinazione di almeno il 30% del Fondo rotativo di sostegno alle imprese 
ad attività e progetti strategici di ricerca. Nel Dd] invece trovano posto, come 
già noto, le agevolazioni (aumento della deducibilità Irap), per i neo-assunti 
al Sud. Quanto alle professioni, inizia a delinearsi un sistema di "accreditamento" 
dei professionisti diverso dadi Ordini. Dopo un duro braccio di ferro il ministro 
della Giustizia Roberto Castelli, appoggiato dai ministri di An, è riuscito a 
inserire il testo approvato nei giorni scorsi dai "saggi" (il Guardasigilli, il 
sottosegretario Michele Vietti e il vice presidente vicario di An, Ignazio La 
Russa). Per altro, sul testo si è registrata la convergenza delle varie componenti 
professionali, dagli Ordini alle associazioni "emergenti". Grazie al decreto sarà 
dunque possibile il riconoscimento delle Associazioni di professionisti che non 
esercitano attività regolamentate e tipiche svolte dagli iscritti agli Ordini 
(si veda la scheda). «Le misure del decreto legge — ha detto Castelli — mettono 
le premesse per una disciplina più organica da inserire nel corso della conversione. 
Abbiamo il tempo a disposizione per trovare un accordo sulle norme che facilitino 
la competitività anche nelle professioni». Le società, in particolare quelle di 
capitali con soci non professionisti, continuano a essere il punto più delicato. 
 M.Carla 
De Cesari M. Rogar   |    |