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    | Silenzio assenso  - archivio  |  
    |  |   
           
            | Abolita 
                la norma del silenzio-assenso |   
| 3 
marzo 2006 |   |  
"Nel 
codice dei beni culturali da ieri non è più presente la norma sul silenzio-assenso. 
Il consiglio dei ministri, infatti, ha provveduto ad apportare alcune modifiche 
su proposta del ministro Buttiglione. Secondo Giovanna Melandri (ds) è una 
buona notizia «la cancellazione della vergognosa norma del silenzio-assenso che, 
in questi ultimi cinque anni, ha fatto correre costantemente il rischio che lo 
Stato svendesse beni pubblici di alto valore storico, artistico e culturale mortificando 
il ruolo di tutela del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali». Questa 
modifica del Codice, conclude la Melandri, «è soprattutto il risultato di tenaci 
e ostinate battaglie delle associazioni di tutela, e anche dell'opposizione parlamentare, 
che hanno denunciato instancabilmente i pericoli del silenzio-assenso. La soluzione 
a cui si è arrivati è stata strappata con fatica e in zona Cesarini a un governo 
che ha letteralmente maltrattato il nostro patrimonio storico-artistico». 
Tra le altre novità l'introduzione di un elenco per i restauratori e l'elevazione 
del loro diploma al rango di laurea. L'Unità, 
03/03/2006 |   |  |   |  |   
            | Settis 
                a Lunardi: de profundis |   
| 9 
maggio 2005 |   |  
"Il 
ministro Lunardi mi ha fatto la cortesia non solo di discutere con me e con Francesco 
Ghedini (ordinaria d'archeologia a Padova) il disegno di legge sull'archeologìa 
preventiva, ma anche d'accogliere alcune mie osservazioni. Gli dò perciò atto 
volentieri del suoimpegno in tal senso, e mi rammarico con lui (e coi suoi colleghi 
Urbani e Buttiglione) che quelle norme non siano entrate nel decreto-legge sulla 
competitività. Ma se esse, come dalla sua lettera risulta chiaramente, sono l'opposto 
del devastante emendamento che dà ad un Commissario straordinario potere di vita 
e di morte non solo sull'archeologia, ma sull'ambientee il paesaggio, non capisco 
perché tale emendamento non possa essere ritirato subito dal governo, visto che 
l'iter parlamentare del decreto-legge non è concluso. Questa norma incrina e snatura 
non solo la legge sull'archeologia preventiva (di là da venire), ma il Codice 
dei Beni culturali (in vigore da appena un anno), nonchéla Costituzione. Perché 
rimandare ad un futuro indeterminato in cui "correggere" il silenzio-assenso, 
e non cancellarlo domani? Perché una norma pessima va approvata subito, e quelle 
ottime devono aspettare ? SALVATORE 
SETTIS - la Repubblica 9 maggio 2005. |   |  |   |  |   
            |  
                Lunardi a Settis: delenda carthago |   
| 9 
maggio 2005 |   |  
"Caro 
Settis, quello che ho dichiarato in occasione d'una interessante scoperta archeologica 
nei pressi dell'autostrada Roma-Napoli in località Aquino, sul successo di questo 
rinnovato modo di lavorare da parte del dicastero delle Infrastrutture dei Trasporti 
con quello dei Beni culturali, di questo nuovo approccio metodologico mirato ad 
evitare che la realizzazione d'infrastrutture distrugga e comprometta il nostro 
Dna storico e culturale, non può in nessun modo esser incrinato da una norma o 
da norme che snaturino la logica e l'impostazione strategica che il mio dicastero, 
insieme a quello dei Beni culturali ha cercato di darsi, sin dall'inizio di questa 
legislatura, attraverso proprio una apposita Commissione che ha il compito di 
legare le grandi infrastrutture al progresso della conoscenza e della valorizzazione 
dei nostri beni culturali. Pertanto era intenzione mia e del collega Urbani, e 
ora anche del collega Buttiglione, inserire nel decreto legge sulla "competitività" 
una apposita norma sull"archeologia preventiva": una norma su tutte quelle azioni 
necessarie a garantire e asancire la forza e la incisività del nostro patrimonio 
archeologico. Ciò purtroppo non è stato fatto. Quindi assieme a Buttiglione abbiamo 
deciso di presentare un'apposita norma dedicata appunto all'"archeologia preventiva". 
In tale strumento correggeremo quanto detto sul "silenzio assenso" nel decreto 
sulla "competitività", chiarendo che tale procedura non può essere invocata in 
presenza di rilevanze psicologiche e di beni culturali e paesaggistici. Non è 
mia intenzione e non è intenzione di questo governo effettuare "un colpo di mano 
contro il Bel Paese".  PIETRO 
LUNARDI - La Repubblica, 09/05/2005  |   |  |   
            | silenzio-assenso 
                sulle opere pubbliche |   
| 7 
maggio 2005 |   |  
"Deve 
velocemente cambiare idea chi si illudeva che avesse vinto la vasta sollevazione, 
nella stampa e nel Paese, contro alcune norme del decreto-legge sulla competitività 
che, in spregio alla Costituzione, miravano a scardinare i principi della tutela 
dei beni culturali e del paesaggio. Come questo giornale ha reso noto per primo 
il 22 febbraio, i punti "caldi" erano 3: l'applicazione ai procedimenti di tutela 
sia del meccanismo del "silenzio-assenso" che della "d. i. a." (dichiarazione 
d'inizio attività). INFINE i poteri in deroga a qualsiasi normativa di tutela, 
conferibili a un Commissario straordinario alle grandi opere pubbliche. Si susseguirono 
allora dichiarazioni confuse e contraddittorie del governo (evidenziate in un 
secondo articolo su questo giornale l'8 marzo), mentre il 10 marzo una lettera 
al giornale del portavoce del ministro Baccini, Francesco Sanseverino, smentiva 
tutto (contro ogni evidenza) e proclamava "l'esclusione dei beni ambientali e 
paesaggistici dal provvedimento all'esame del governo". L'11 marzo un comunicato 
del ministero dei beni culturali dichiarò che era stata "definitivamente chiarita 
la non applicabilità della regola del silenzio-assenso alla delicatissima tutela 
dei Beni culturali e paesaggistici", e di fronte a nuovi dubbi e proteste un altro 
comunicato (12 aprile) ribadì "che i procedimenti finalizzati alla tutela sono 
esclusi dai casi di silenzio-assenso previsti dal disegno di legge sulla competitivita". 
Il nuovo colpo di mano arriva ieri, 4 maggio, nell'aula del Senato. Come si può 
vedere sull'ottimo sito web dello stesso Senato, la nuova versione del comma 11 
dell'art. 5 del disegno dilegge (nr. 3344), approvata come parte del "maxiemendamento", 
reintroduce in pieno i poteri del Commissario Straordinario alle grandi opere 
pubbliche, già presenti in una prima versione e poi ritirati dal governo. Il Commissario, 
recita la nuova versione, "per assicurare il rispetto della normativa in materia 
di tutela ambientale e paesaggistica acquisisce il parere delle competenti amministrazioni, 
che deve essere espresso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, 
il Commissario procede comunque nell'esecuzione dell'opera". Se poi un Soprintendente 
testardo provasse a opporsi ancora oltre la mannaia dei sessanta giorni, allora 
il Consiglio dei ministri "può deliberare lo stato di emergenza, conferendo ai 
Commissario i relativi poteri". Questo nuovo travestimento del silenzio-assenso, 
in vesti anzi ancor più aggressive, non è una minaccia remota: vi sono infatti 
assoggettati tutti gli "interventi infrastrutturali strategici e urgenti", e in 
particolare i lavori già previsti nell'ambito delle concessioni autostradali in 
tutta Italia. Occorre dunque ripetere, a orecchie che non vogliono sentire, che 
questa norma è sfacciatamente anticostituzionale, in quanto da la priorità agli 
interessi economici su quelli della tutela, sancitidall'art. 9 della Costituzione 
come uno dei principi fondamentali della Repubblica. Occorre ripetere che una 
serie di coerenti e cogenti sentenze della Corte Costituzionale hanno ribadito 
che l'art. 9 comporta "la primarietà del valore estetico-culturale", che non può 
essere "subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici", e pertanto 
dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (nr. 
151/1986). Precisamente il contrario della ratio politica e giuridica dell'emendamento 
pervicacemente reintrodotto nel provvedimento sulla competitività. Si conferma 
dunque la troppo facile profezia che, una volta approvato il Codice dei beni culturali, 
lo stesso governo ne avrebbe tentato la progressiva demolizione mediante leggi 
e leggine, articoli in decreti-omnibus, commi di questa o quella Finanziaria, 
eccezioni e deroghe. Basti ricordare gli sgangherati condoni in materia paesaggistica 
e ambientale (approvati) e la proposta di indiscriminata sanatoria per tombaroli 
e trafficanti di antichità, che si era tentato di inserire surrettiziamente nella 
Finanziaria 2005, provando per l'occasione a sospendere persino la validità di 
alcuni articoli del Codice Penale. Per il momento quel disegno appare sventato, 
ma l'on. Gianfranco Conte (Forza Italia), che ne è il principale fautore, lo ha 
presentato anche come legge ordinaria, e potrebbe riprovare con un emendamento 
nella Finanziaria di quest'anno, tanto più che nel frattempo è diventato membro 
del terzo governo Berlusconi, in qualità di Sottosegretario ai rapporti col Parlamento. 
Il nuovo ministro deiBeni culturali Rocco Buttiglione ha appena dato buona prova 
di sé garantendo pubblicamente che intende restituire Palazzo Barberini all'uso 
museale per cui fu acquistato dallo Stato nel 1949, e che rispettando il patto 
(1997) col ministero della Difesa il Circolo Uficiali libererà prestissimo la 
parte che ha occupato fino al 1965 in modo legittimo, e negli ultimi quarant'anni 
in regime di prorogatio che s'è autoconcessa. Vedremo che cosa accadrà, e in che 
tempi (anche perché intanto il generale Stefanon, che dirige il Circolo, ha dichiarato 
al Messaggero del 6 maggio che non ha nessuna voglia d'andarsene). Pacta sunt 
servanda, ha dichiarato comunque Buttiglione: a maggior ragione è da sperare che 
egli si erga ora, come già aveva fatto il suo predecessore Giuliano Urbani, a 
difesa dei principi di tutela, parte essenziale non solo del Codice dei Beni culturali, 
ma - prima ancora-del massimo patto che regge la Repubblica, la Costituzione." Salvatore 
Settis - La Repubblica, 07/05/2005  |   |  |   
            | Silenzio-assenso: 
                DL competitività |   
| 5 
maggio 2005 |   |  
"Il 
principio suona rivoluzionario: d'ora in poi chiunque avanzi una richiesta a un'amministrazione 
pubblica deve ricevere una risposta entro novanta giorni, dopo di che si deve 
intendere che la risposta è positiva. È il principio del silenzio-assenso, approvato 
martedì dal Senato all'interno del decreto sulla competitività (fra pochi giorni 
il voto definitivo della Camera). Vista la proverbiale lentezza della burocrazia 
italiana è facile immaginare chela scadenza dei tre mesi sarà spesso superata. 
Detto così sembra chissà che: si apriranno tutte le porte per le imprese che devono 
ottenere un qualsiasi permesso? E per i cittadini che chiedono un alloggio popolare, 
o il riconoscimento di un'invalidità, o un porto d'anni? Chiedete e vi sarà dato? 
Forse non è così, anzi forse è proprio il contrario. A leggere bene il testo del 
provvedimento, e a sentire il parere di qualche giurista, sembra di capire che 
gli effetti pratici di questa legge saranno molto ridotti. Per almeno tre motivi: 
perché il campo d'azione del silenzio-assenso è stato prudentemente limitato; 
perché nei prossimi mesi saranno varati una serie di regolamenti che specificheranno 
ancora meglio i casi in cui effettivamente la non risposta può equivalere a un 
sì; e infine perché in ogni caso per le aziende (principali destinatarie di questa 
misura) il silenzio-assenso può rivelarsi un'arma spuntata. Le esclusioni. Nelle 
scorse settimane si era aperta un'accesa polemica sulla riforma annunciata dal 
governo. L'allarme ha riguardato soprattutto la tutela del paesaggio, dell'ambiente 
e del patrimonio artistico-archeologico-monumentale. Con il silenzio-assenso, 
è stato detto, si aprirà una nuova stagione di edilizia selvaggia. Inoltre sono 
stati sollevati altri timori: le autorizzazioni per mettere in commercio nuove 
medicine, il porto d'armi, il permesso di soggiorno agli immigrati clandestini; 
sarà possibile far valere anche in questi casi il silenzio-assenso? Per tranquillizzare 
tutti, il governo ha preferito precisare che il principio non si applica agli 
atti «riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa 
nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità». 
Nei prossimi mesi poi il governo individuerà un'altra serie di procedimenti su 
cui non sarà possibile applicare la regola, dei novanta giorni. L'autotutela. 
Ciò che comunque limiterà moltissimo l'effettiva utilità del silenzio-assenso, 
è un altro comma della stessa legge. È quello che prevede il principio dell'“autotutela”: 
anche se si sono superati i novanta giorni, l'amministrazione avrà sempre il diritto 
di intervenire. In altre parole, il silenzio-assenso vale fino a un certo punto. 
L'ex ministro Franco Bassanini, senatore dei Ds, l'ha spiegato con un esempio: 
«L'imprenditore costruisce uno stabilimento avvalendosi del silenzio-assenso; 
dopo un anno l'amministrazione si accorge che la sua richiesta violava una legge 
o non rispettava il piano regolatore, e lo obbliga a smantellare tutto. È chiaro 
che prima di partire l'imprenditore preferirà aspettare l'arrivo di un pezzo di 
carta».  Il 
Messaggero, 05/05/2005  |   |  |   
            | Le 
                Soprintendenze non ce la faranno |   
| 24 
febbraio 2005 |   |  
"La 
legge di cui dovrà discutere la Camera entro pochi giorni lascia intravedere un 
quadro a tinte fosche, soprattutto in quelle regioni d'Italia dove i beni artistici 
non sono ancora ben catalogati e definiti, in un contesto in cui la politica culturale 
del governo naviga a vista in un mare di ristrettezze economiche e di contraddizioni. 
Perché se da un lato le funzioni di controllo degli organismi statali sono decapitate, 
al tempo stesso il governo aumenta il numero delle Soprintendenze, come nel caso 
toscano. «La legge, di per sé, non sarebbe sbagliata» dice la dottoressa Burresi 
della Soprintendenza di Pisa «se non fosse che manca il personale, al punto che 
qualche volta dobbiamo tenere a contratto dei pensionati per avere alcune consulenze». 
E' quel che dice anche Settis, che parla di «funzionari di altissima qualità, 
che sulla base di una legge dello scorso agosto avevano dichiarato la loro disponibilità 
a rimanere in servizio per alcuni anni e che sono stati messi alla porta poche 
settimane fa». Il direttore della Normale fa anche alcuni esempi, tra cui quello 
di Maria Augusta Timpanaro dell'Archivio di Stato di Pisa e di Annamaria Petrioli 
Tofani degli Uffizi di Firenze. La dottoressa Tofani non parla del suo caso, ma 
si associa all'allarme di Settis: «Si è persa - spiega - la percezione del patrimonio 
artistico nazionale come identità della natura e della personalità dell'Italia. 
Si stanno vendendo i gioielli di famiglia ed è come se ci tagliassimo le possibilità 
di respirare. Si sta correndo dietro ad una modernizzazione e una monetizzazione 
che avranno conseguenze nefaste. E questa diffusa noncuranza dell'immagine culturale, 
che di per sé sarebbe già insopportabile, ci toglierà grandi risorse anche sul 
piano del ritorno economico». La legge estende la "Dia", acronimo che sta per 
dichiarazione di inizio attività, una sorta di autocertificazione dei proprietari, 
ai beni sottoposti al vincolo artistico e architettonico. «Con le Soprintendenze 
ridotte come sono - dice la dottoressa Tofani - il silenzio delle amministrazioni 
probabilmente non sarebbe dettato da una scelta, ma dall'impossibilità di intervenire 
entro il limite dei due mesi. Dunque si vuole sottrarre alla legge una materia 
così delicata e importante per lasciarla gestire al buon senso degli individui. 
Il Codice Urbani è già abbastanza liberista, ma introdurre il silenzio-assenso 
vorrebbe dire rovesciare i termini del problema e vanificare ogni controllo». G.F. 
Tirreno, 24/02/2005  |   |  |   
            | DIA 
                e silenzio assenso |   | 22 
febbraio 2005 |   |  
"Intervista 
al soprintendente Luciano Marchetti «Uffici già in affanno per le cartolarizzazioni» 
All'esame del Parlamento sta per arrivare una legge basata sul principio del 
silenzio-assenso che nei fatti rischia di fare piazza pulita di tutti i vincoli 
di tutela sui beni culturali di proprietà privata. Chi vuole, potrà vendere 
e disperdere una preziosa collezione di dipinti o ristrutturare un palazzo storico 
a proprio piacimento, magari stravolgendolo. Tutto sarà possibile attraverso 
la Dia (Dichiarazione di inizio attività): basterà un'autocertificazione e 
se entro due mesi le soprintendenze competenti non avranno espresso un parere 
negativo, le carte saranno in regola. Finora da questa prassi erano esclusi i 
beni culturali. Se la normativa per la "Semplificazione della regolamentazione" 
- così si chiama - quest'eccezione sarà cancellata. Una possibilità duramente 
denunciata da Salvatore Settis, storico e archeologo, autorevole voce del mondo 
della cultura, con il quale si schiera anche il direttore regionale per i Beni 
Culturali e Paesaggìstici del Lazio, Luciano Marchetti. Professore, a cosa si 
va incontro? Se questa norma venisse approvata, non saremmo in grado di rispondere 
in tempi utili. Capisco la necessità del privato di avere tempi certi nell'avvalersi 
delle procedure, ma se lo Stato non può sostituire il personale che va in pensione, 
con il turn-over bloccato, il funzionamento degli uffici diventa ancora più affannoso. 
Tutti faranno quello che vogliono e non è accettabile. Va trovata una soluzione. 
E quale potrebbe essere? Definire i tipi di intervento, facendo una graduatoria 
e riducendo quelli possibili negli edifici sotto tutela. E trovare una soluzione 
amministrativa per potenziare il personale. Una rivoluzione rispetto a ciò che 
è stato fatto finora. Si, ma è l'unica cosa da fare se non si vuole che i tempi 
scadano sempre e che nessuno risponda in tempo utile. E cosa potrebbe succedere? 
Ad esempio, se ho una stanza decorata da affreschi e voglio ripulire la mia casa, 
faccio la Dia dicendo che la imbianco e gli affreschi spariscono. Se sono cattivo, 
posso anche rifare l'intonaco: quando l'amministrazione riesce ad intervenire, 
il danno ormai è fatto. Le problematiche del restauro sono troppo complesse per 
rientrare in una regolamentazione così generale. Inoltre i vostri uffici sono 
alle prese anche con altre pratiche su cui pende il silenzio-assenso. Infatti, 
siamo già in grande affanno per rispondere alla norma sulla vendita dei beni pubblici 
ricompressa nel Codice Urbani. Cosa in cui riusciamo a fatica. Se poi si sommano 
altre scadenze inderogabili... Sono molti i procedimenti daprendere in esame? 
Basta pensare che anche l'Ater ha la necessità di vendere e tutto passa attraverso 
le soprintendenze. E i funzionari sono sempre gli stessi. Bisognerebbe almeno 
poter ripartire il lavoro in temp più lunghi. Adesso quali sono le risorse di 
personale di cui disponete? Contando i funzionari di tutte le soprintendenze, 
nel complesso ce ne sono 22 per tutta Roma e 25 per tutto i Lazio, che si occupano 
delle pratiche che riguardano gli edifici. Ma quali sono i motivi che stanno dietro 
la nuova norma? Beh, è di iniziativa parlamentare e non governativa. Nasce per 
tutelare i diritti dei cittadini, ma finisce col non tutelare i beni culturali." 24-FEB-2005 
- L'Unità 
Roma |   |  |   
            | Il 
                massacro delle soprintendenze |   
| 22 
maggio 2004  |   |  
"Il 
convegno promosso da Italia Nostra Italia da salvare tenutosi nella sala 
della Protomoteca in Campidoglio è dedicato alla tutela dei beni culturali 
e ambientali. I lavori si sono svolti nel segno della protesta: contro le nuovi 
leggi che indeboliscono la tutela, dal codice alle leggi delega e obiettivo, 
contro le nuovissime nomine del personale addetto alla tutela, emanate venerdì 
dal Ministero. “Oltre alla moltiplicazione delle cariche di direttore generale 
che non farà che complicare e appesantire la struttura burocratica – ha detto 
nella sua relazione la presidente dell’associazione, Desideria Pasolini dall’Onda- 
assistiamo a delle scelte regionali punitive nei confronti di quei soprintendenti 
che avevano coraggiosamente denunciato la regola capestro del silenzio-assenso 
presente nel Codice Urbani e all’insediamento di personale amministrativo in ruoli 
che dovrebbero essere strettamente essere tecnico-scientifici”. E’ il caso di 
Mario Turetta, fino a ieri capo della segreteria di Urbani, che è stato nominato 
soprintendente per il Piemonte, di Marchetti che sostituisce Martines nel Lazio, 
un ingegnere senza formazione specifica per quel ruolo, e di numerosi altri. Francesco 
Scoppola poi, il soprintendente delle Marche che aveva denunciato il silenzio-assenso 
proprio ad un convegno di Italia Nostra è sparito dall’organigramma, mentre altri, 
come il soprintendente della Toscana Lolli Ghetti, sono stati spostati in soprintendenze 
di minor prestigio. Al convegno era presente la presidente dell’Assotecnici, Irene 
Berlingò: “La riforma del ministero e il Codice Urbani – ha detto – fanno parte 
della stessa manovra organica, stiamo assistendo allo smantellamento della tutela 
territoriale, che è stata un caposaldo della conservazione del nostro patrimonio”. 
Al convegno hanno parlato numerosi rappresentanti delle associazioni ambientaliste 
e di tutela, giuristi, storici dell’arte e urbanisti, tutti d’accordo sui pericoli 
che corre il nostro patrimonio culturale e ambientale nel quadro della nuova normativa. 
 Italia 
Nostra –Comunicazione Nanni Riccobono- 3286195061 Lorenzo Misuraca - 3389691517. |   |  |   
            | Sopr. 
                sepolte da milioni di schede |   
| 28 
aprile 2004  |   | "Il 
nuovo codice dei Beni culturali e del Paesaggio, voluto dal ministro Giuliano 
Urbani. A leggere i 184 articoli del Codice si ha l'impressione che un secolo 
di lavoro delle soprintendenze, un secolo di tutela venga messo completamente 
in discussione. C'è il rischio che l'Italia perda la sua immagine e la sua storia 
in favore di un esercito di speculatori.  A 
leggere 
i 184 articoli del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio appena varato si 
ha l'impressione che un secolo di lavoro delle Soprintendenze, un secolo di 
tutela, venga messo completamente in discussione. Prendiamo l'articolo 12 
«verifica dell'interesse culturale»: sono naturalmente gli organi del ministero 
a verifìcare la «sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico, 
eccetera», ma quando si passa ai «beni immobili» dunque alle architetture, la 
tutela viene determinata dalla «predisposizione degli elenchi» corredati da «schede 
descrittive»; se da queste schede risulta che le strutture non sono di interesse 
artistico, storico, archeologico, si procede alla «demanializzazione» ed esse 
diventano «liberamente alienabili». E in base alle norme contenute nella Finanziaria 
ora bastano 120 giorni di silenzio-assenso delle competenti Soprintendenze 
per vendere. Ma di che schede si tratta? Chiunque penserebbe che vengano mantenute 
in vigore tutte le vecchie schede di catalogazione delle Soprintendenze, molti 
milioni, e che si discuta solo dei beni non schedati. Nulla di tutto questo: si 
riparte con delle nuove schede, che non si sa bene con che competenze saranno 
redatte. Non solo: chi farà le schede dei beni architettonici, visto che 200 funzionari 
delle Soprintendenze non bastano di certo a schedare circa 150 milioni di oggetti 
e decine di milioni di strutture passibili di tutela ? La sola possibilità sarebbe 
di chiamare le centinaia di specializzati e di dottori di ricerca in storia dell'arte 
che, solo se collegati ai Dipartimenti dei Beni Culturali delle Università e ai 
loro docenti, garantirebbero una rapida verifica delle schede esistenti e la precisa 
redazione delle nuove. Ma nella legge di questo non si parla, anzi le Università 
sono quasi del tutto emarginate, e lo sono persino dai corsi di formazione dei 
restauratori, in contraddizione con la vigente legge proprio sulla formazione 
nelle Università dei restauratori stessi. Per capire come funziona la legge in 
fatto di «conservazione» veniamo all'art.21: «interventi soggetti ad autorizzazione 
del ministero» e consideriamo il caso della «demolizione delle cose costituenti 
beni culturali», cioè di un edificio monumentale. La risposta viene dall'art.22: 
per avere l'autorizzazione chi vuole distruggere l'edificio, smembrarlo, manometterlo, 
chiede alla Soprintendenza l'autorizzazione; la risposta deve venire in 120 giorni, 
ma l'ufficio può chiedere chiarimenti e fare accertamenti in 30 giorni, se non 
lo fa il richiedente diffida la Soprintendenza, e se l'ufficio tace per altri 
30 giorni la richiesta di demolizione, o altro, è approvata. Direte: ma hanno 
ben sei mesi di tempo, dunque hanno un tempo enorme. Non è vero! Le Soprintendenze 
hanno pochissimi architetti e funzionari esperti, ciascun ufficio smaltisce ogni 
anno almeno 40-50 mila pratiche, adesso dovrebbero fronteggiare un numero 
enormemente superiore di richieste, non potranno fare nulla. Siamo davanti 
a una programmata sanatoria anticipata. Ecco perché si stanno vendendo a centinaia 
immobili del demanio dello Stato di preciso interesse storico-artistico. Forse 
salveranno l'edilizia supposta di qualità, ma il tessuto no, quello, certo, sarà 
cancellato. Si sa, abbiamo da sempre tutelato l'antico e il Rinascimento, stavamo 
adesso a fatica recuperando il Medioevo, ma chi salverà l'architettura civile 
dell'800, il Liberty, l'architettura fascista, quella industriale, quella delle 
poche nostre avanguardie? Con questa legge, davvero, nessuno. Dunque serve subito 
un completo rovesciamento: si devono mantenere inalienabili tutti i beni demaniali, 
si deve coinvolgere nella loro catalogazione e analisi l'Università, si deve affidare 
il lavoro di tutela a commissioni di veri esperti, storici dell'architettura, 
storici dell'arte, sopraintendenti uniti. Ricordiamolo: quattro generazioni di 
sopraintendenti, da Corrado Ricci a Adolfo Venturi, da Giulio Carlo Argan a Cesare 
Gnudi, a Cesare Brandi, a Fernanda Wittgens hanno speso le loro vite per tutelare 
oggetti e ambiente. Adesso stiamo per assistere alla dissoluzione di tutto quel 
sistema culturale. L'Italia perderà la sua immagine e la sua storia. Magari in 
favore di un esercito di speculatori Arturo 
Carlo Quintavalle Corriere della Sera, 28/4/2004. |   |  
 
 |   |  |   
            | Soprintendenti 
            con 1870 pratiche al giorno  |   
| 12 
gennaio 2004 |   | "La 
verifica forzata in soli 120 giorni del valore culturale del patrimonio immobile 
e mobile vincolato dallo stato cancella il regolamento n.283 del 2000 con cui 
si ribadiva l'inalienabilità dei beni culturali e ambientali pubblici con le eccezioni 
consentite dalle soprintendenze sulla base di elenchi che si stavano ancora compilando 
(avevano per legge due anni di tempo per questo lavoro). Ora tutti i beni sono 
vendibili salvo quelli che abbiano in poche settimane un «motivato parere» contrario 
delle soprintendenze, onere che andrebbe a gravare su organici già scarsi che 
non potranno mai smaltire questo lavoro. Le associazioni allora ricordano l'enorme 
patrimonio che le soprintendenze sono chiamate a salvaguardare: 574 tra musei, 
monumenti, gallerie e scavi dello stato, 216 aree archeologiche; circa 3000 gli 
altri musei (ecclesiastici, universitari, privati, ecc); 100mila chiese e cappelle 
con arredi artistici, 40000 torri, rocche e castelli, 20mila centri storici, 1500 
monasteri, le biblioteche, gli archivi, parchi e giardini anche non statali sui 
quali le soprintendenze devono esercitare vigilanza e controllo. Ecco alcuni casi 
emblematici per far capire la mole di lavoro che grava sui soprintendenti ai beni 
architettonici e ambientali (che devono anche fare sopralluoghi e svolgono attività 
di ricerca, di scavo, di studio e realizzazione di restauri) e quindi come la 
scadenza dei 120 giorni - altrimenti scatta il silenzio assenso - sia in realtà 
un modo per far passare di tutto. In Sardegna, 7 architetti alla soprintendenza 
hanno un carico di 7600 pratiche all'anno; in Liguria 9 architetti hanno 16.800 
pratiche, circa 1870 a testa all'anno. I concorsi di settore si sono rarefatti 
(per non dire scomparsi), i precari sono 2300. Un tecnico di livello elevato con 
25 anni di carriera non raggiunge i 1500 euro al mese."  Il 
Manifesto, 21/1/2004  |   |  |   
            | Nuovi 
                elenchi: vale il silenzio assenso 
             |   | 12 
gennaio 2004 |   | "Questione 
di giorni. Appena il tempo di vedere pubblicato in «Gazzetta» il decreto Beni 
culturali-Difesa-Demanio con i criteri per elencare e descrivere gli immobili 
di pregio artistico. Poi, entro i successivi 30 giorni, si metterà in moto la 
procedura per verificare la sussistenza o meno dell'interesse culturale del "mattone 
tutelato". Entro un mese, infatti, l'agenzia del Demanio dovrà trasmettere, 
alle soprintendenze competenti per territorio, gli elenchi degli immobili di proprietà 
dello Stato (o del demanio statale) da sottoporre a vantazione. La 
novità, in materia di alienazione dei beni artistici, è arrivata con l'articolo 
27 della legge 326/2003 (di conversione del cosiddetto decretone, contenente 
una consistente tranche della manovra economica per il 2004). L'obiettivo dichiarato 
è passare al vaglio il patrimonio pubblico (a cominciare da quello statale) di 
«interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico» in modo da continuare 
a tutelare quello che merita di esserlo. E classificare come vendibile tutto il 
resto. La valutazione sarà a carico delle soprintendenze le quali, se vorranno 
evitare che scatti il silenzio assenso, dovranno completare l'esame entro il tanto 
discusso termine di 120 giorni dalla richiesta. «Il decreto interministeriale 
che dovrà stabilire i criteri per predisporre gli elenchi e le modalità di redazione, 
oltre alle procedure per la loro trasmissione, sarà firmato al più presto, non 
appena avrà ricevuto il nulla osta dell'ufficio legislativo dei Beni culturali». 
Lo assicura Roberto Cecchi, direttore generale dei beni architettonici e del paesaggio, 
e incaricato dal ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, di portare avanti 
l'iniziativa in coordinamento con il Demanio e con il ministero della Difesa (per 
quanto riguarda le strutture ancora in uso ai militari). Il provvedimento attuativo 
è previsto dal comma 9 del citato articolo 27 della legge 326/2003. In più, il 
solo ministero dei Beni culturali dovrà stabilire gli «indirizzi di carattere 
generale» in base ai quali le soprintendenze dovranno eseguire la famosa verifica. 
Per definire queste linee guida la legge 326/2003 (articolo 27, comma 2) non prevede 
limiti di tempo, né indica un provvedimento particolare. Tuttavia, fa capire Cecchi, 
su questa materia non si devono attendere novità sostanziali rispetto alle procedure 
tuttora vigenti. «Le soprintendenze hanno già eseguito in passato valutazioni 
per stabilire l'alienabilità o meno di molti immobili, applicando il Dpr n. 283 
del 2000 -ricorda sempre Cecchi -. Credo che non ci sia molto da aggiungere rispetto 
a questa norma». Il riferimento è al decreto del Presidente della Repubblica, 
che in 24 articoli riassume il «Regolamento recante disciplina delle alienazioni 
di beni immobili del demanio storico e artistico». Ma, soprattutto, il dirigente 
dei Beni culturali assicura che non si verificherà alcun ingorgo tale da paventare 
il rischio di far scattare il silenzio-assenso sui beni che meritano di restare 
di proprietà pubblica. «Questo rischio - sottolinea sempre Cecchi - sarà evitato 
grazie a un coordinamento strettissimo con il Demanio. In sostanza faremo in modo 
che le soprintendenze non vengano "sommerse" oltre misura dalle richieste di valutazione». 
Le nuove norme sulla alienazione dei beni culturali contengono anche una sorta 
di veto in grado di impedire la cessione. Il comma 4 del medesimo articolo 
(modificato in sede di conversione del decretone) prevede infatti la possibilità 
che «ragioni di pubblico interesse» possano impedire la sdemanializzazione. Tali 
ragioni vanno valutate «da parte del ministero interessato».  Quest'ultima 
specificazione (aggiunta alla norma in sede dì conversione del decretone) sembra 
andare a vantaggio principalmente del ministero della Difesa, che in tal modo 
si vede riconosciuto un estremo appiglio per cercare di evitare la cessione di 
beni. Quanto alla lista degli asset vendibili, a essi verrà data la massima pubblicità, 
anche all'interno del sito del dicastero di Giuliano Urbani." Sole 
24 ore, 12/1/2004 |   |  |   
            | Emendamento 
            27.80 |   | 31 
ottobre 2003 |   |  
"Rita 
Borioni e Alessandra Untolini ci inviano questa nota estremamente allarmante sul 
maxi emendamento approvato il 30 ottobre dal Senato. Non vi erano dubbi che, anche 
prima dei famigerati emendamenti del Senatore Tarolli e del maxi emendamento approvato 
oggi dal Senato con il voto di fiducia, l'intento dell'articolo 27 del decretone 
che accompagna la Finanziaria, fosse quello di svendere la maggior quantità possibile 
del nostro patrimonio culturale, mobile e immobile. Mettere in affanno i soprintendenti, 
chiedendo loro di esprimere nel termine di 30 giorni - ma se sono 120 la sostanza 
non muta - un parere sulla sussistenza di qualità artistiche sui circa 50 mila 
beni immobili del demanio è di per sé un affronto alla professionalità dei 
soprintendenti alla dignità del nostro patrimonio e al diritto alla fruizione 
di tutti i cittadini. Se tutto questo non bastasse, si legge tra le righe di quegli 
emendamenti una devastante inconsapevolezza - per non chiamarla ignoranza - sulle 
leggi che regolano la tutela del patrimonio culturale nazionale. L'emendamento 
27.80 - assorbito nel maxi emendamento -dice in sostanza che l'accertamento positivo 
costituisce dichiarazione ai sensi degli articoli 6 e 7 del Testo Unico. 
Si trascura qui il non "piccolo particolare" che tali norme riguardano esclusivamente 
la dichiarazione di particolare interesse dei beni di proprietà dei privati. L'applicazione 
di tale norma ai beni pubblici condurrebbe ad un paradosso drammatico e ridicolo. 
Ci siamo domandate a chi diamine il soprintendente dovrebbe 
notificare il provvedimento di vincolo sui beni pubblici. Il che non 
è un problema da poco considerato che il provvedimento di dichiarazione ha efficacia 
solo se viene notificato al proprietario del bene. Lo notificherà al Presidente 
della Repubblica che rappresenta tutti i cittadini e le cittadine ? O forse al 
presidente del consiglio? A ciascun singolo cittadino? O infine lo dovrà invece 
notificare a se stesso in quanto detentore dei beni? È noto a coloro che hanno 
redatto questo emendamento che il proprietario del bene, in caso di inosservanza 
delle prescrizioni di tutela,è soggetto a sanzioni di carattere penale? Ed in 
quel caso chi diventerebbe ospite delle patrie galere? Sempre che esse nel frattempo 
non siano state alienate." 31/10/2003 
- PatrimonioSOS |   |  |   |  |   
            | "il 
                collasso" delle soprintendenze |   | 29 
ottobre 2003 |   | "Silenzio-assenso, 
si rischia la svendita coatta" Torna il silenzio-assenso sulla cessione degli 
edifici pubblici? Anche se da 90 giorni il termine passa a 120, per le soprintendenze 
saranno problemi gravissimi,  dice l'architetto Ruggero Martines, 51 anni, 
responsabile, dal 2002, di quella regionale per il Lazio. Dati concreti: la sua 
struttura, su quante persone può contare? «Dodici in tutto. Di cui due architetti, 
un archeologo, uno storico dell'arte, un funzionario amministrativo». Quando vi 
ritroverete alluvionati di pratiche, saranno dolori; un termine idoneo per 
il silenzio-assenso, quale potrebbe essere, secondo lei? «Il 
doppio dei giorni: 240. Ma il termine andrebbe anche accompagnato con lo stanziamento 
di 240 miliardi di vecchie lire, 120 milioni di euro, per effettuare 
un censimento che oggi non esiste, e diventa invece indispensabile. L'Italia non 
possiede un catasto delle "cose belle"; quando lavoravo a Napoli con Giuseppe 
Proietti, abbiamo svolto una campagna fotografica completa di quanto c'è sulle 
isole del Golfo; ma questo è successo in pochi luoghi d'Italia. In passato, non 
si sono apposti nemmeno i vincoli a moltissimi edifici pubblici: perché, tanto, 
non potevano essere alienati». Quindi, adesso, è tutto da studiare? «Certamente 
sì. Da quando sono arrivato, a Roma ho posto una cinquantina di vincoli: per esempio, 
tutta via dei Fori Imperiali, gli ospedali storici, il Foro Italico». Cinquanta 
immobili o opere vincolate, non lo era nemmeno il Colosseo, su quante che lei 
ritiene di interesse rilevante sotto il profilo della cultura nella Capitale d'Italia? 
«Solo a Roma, forse tremila; di cui almeno duemila sono 
edifici pubblici, che ora rischiano d'essere ceduti». 
 Senza un vincolo, diventa possibile venderli a chiunque; 
le risulta che stia per essere alienato anche l'immenso palazzo del Poligrafico 
dello Stato, in piazza Verdi? «E' così, e non ci si può fare molto; appunto, 
non è mai stato vincolato. Anche se è uno dei più straordinari esempi d'inizio 
secolo, ancora più importante della Banca d'Italia edificata da Gaetano Kock: 
progettato nel 1913 da un grande architetto come Garibaldi Burba, autore anche 
del Villino Cagiati a via Orsini, di quello Macchi di Cellere a viale Giulio Cesare, 
e di tante opere rilevanti a Fiuggi». Se sarà approvato il silenzio-assenso, in 
che modo il ministero dei Beni culturali potrà correre ai ripari? «Stanziando 
120 milioni di euro da affidare al dipartimento per l'Innovazione: che sta per 
essere costituito: formando un Gruppo d'intervento speciale, che sopperisca alle 
mille gravi lacune che oggi tante soprintendenze manifestano». Al Nord, risultano 
tutte sguarnite di personale. Al Sud, i dipendenti non mancano: ma non sempre 
sono di prim'ordine. Nel Centro Italia, tante persone al Ministero, poche negli 
uffici periferici. In più, molti funzionari assunti, negli Anni 80, con scarsa 
preparazione: grazie alle leggi sulla disoccupazione giovanile, o sul dopo-terremoto 
nel Mezzogiorno; «a parte quelli per 600 posti alcuni anni fa, saranno cinque 
lustri che il Ministero non bandisce dei concorsi». Infine, i continui tagli 
inferti alle spese di funzionamento delle stesse soprintendenze: «Circa il 30 
per cento negli ultimi quattro anni», dice Antonio Paolucci da Firenze. «Se 
passa il silenzio-assenso, si rischia davvero un'autentica svendita coatta», conclude 
Ruggero Martines.  
Fabio Isman Il Messaggero, 29/10/2003  |   |  |   
            | "Vendita 
                in blocco" |   | 29 
ottobre 2003 |   | "Per 
la vendita del patrimonio culturale varrà il silenzio assenso dopo 120 giorni. 
Alla fine l'Agenzia del Demanio e il ministero dell'Economia l'hanno spuntata. 
Il maxiemendamento al decretone che accompagna la Finanziaria prevede il principio 
del silenzio -assenso delle sovrintendenze per stabilire se un immobile pubblico 
dev'essere considerato o meno un bene culturale. Di conseguenza, se può essere 
venduto. Contro questo principio, contenuto in un emendamento presentato dal relatore 
Ivo Tarolli, ma caldeggiato dal ministero dell'Economia, c'era stata la sollevazione 
dell'opposizione e degli ambientalisti. Ma si erano levate voci contrarie anche 
all'interno dello stesso governo, come quelle dei ministri dei Beni culturali 
Giuliano Urbani e dell'Ambiente Altero Matteoli. Quest'ultimo si è ora detto soddisfatto 
del semplice allungamento dei tempi: il maxiemendamento del governo concede infatti 
alle sovrintendenze quattro mesi di tempo, contro i 30 giorni previsti inizialmente, 
per accertare l'esistenza di un interesse culturale su un immobile dello stato 
destinato al mercato. «La mancata comunicazione nel termine complessivo di 
120 giorni - dice il nuovo testo - equivale ad esito negativo della verifica». 
E il bene può essere ceduto senza ulteriore indugio. «C'è il tempo per esaminare 
le pratiche e si è superato il ristretto termine di 30 giorni che avrebbe consentito 
di salvare anche ciò che non era salvabile», ha commentato Matteoli. Ma com'era 
da attendersi, nemmeno l'allungamento dei tempi ha convince i Verdi. «Adesso Urbani 
può tranquillamente tornare a casa: il suo ministero diventa superfluo», ha ironizzato 
il senatore Sauro Turroni. L'ultima versione del decretone conferma inoltre 
per l'Agenzia del Demanio la possibilità, introdotta già in prima battuta 
con un altro degli emendamenti Tarolli, di vendere «a trattativa privata» e 
anche «in blocco» a Sviluppo Italia, società controllata dal Tesoro, immobili 
«suscettibili di interesse turistico». Per cederli sarà sufficiente un semplice 
«decreto dirigenziale» del ministero dell'Economia. Traduzione: non servirà nemmeno 
la firma del ministro, sarà sufficiente quella del responsabile del Demanio." S.Riz 
Corriere 
della Sera, 29/10/2003 |   |  |   
            | Art. 
                27 D.L n. 269 del 30/9/2003 |   
| 30 
settembre 2003 |   |   Art. 
27 del DECRETO-LEGGE 30 settembre 2003, n.269 Disposizioni urgenti per favorire 
lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici (GU n. 229 
del 2-10-2003- Suppl. Ordinario n.157) (Verifica dell'interesse culturale del 
patrimonio immobiliare pubblico)  1. 
Le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, 
alle citta' metropolitane, ai comuni e ad ogni altro ente ed istituto pubblico, 
di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, sono sottoposte 
alle disposizioni in materia di tutela del patrimonio culturale fino a quando 
non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2.  2. 
La verifica circa la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico 
o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, e' effettuata dalle soprintendenze, 
d'ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, sulla base di 
indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero per i beni e le attivita' 
culturali.  3. 
Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse 
di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni 
di tutela di cui al decreto legislativo n. 490 del 1999.  4. 
L'esito negativo della verifica avente ad oggetto cose appartenenti al 
demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, e' 
comunicato ai competenti uffici affinche' ne dispongano la sdemanializzazione, 
qualora non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse.  5. 
Le cose di cui al comma 3 e quelle di cui al comma 4 per le quali si sia proceduto 
alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili.  6. 
I beni nei quali sia stato riscontrato, in conformita' agli indirizzi generali 
richiamati al comma 2, l'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico 
restano definitivamente sottoposti alle disposizioni di tutela.  7. 
Le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 
anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro 
natura giuridica.  8. 
In sede di prima applicazione del presente articolo, la competente filiale dell'Agenzia 
del demanio trasmette alla soprintendenza regionale, entro trenta giorni dalla 
emanazione del decreto di cui al comma 9, gli elenchi degli immobili di proprieta' 
dello Stato o del demanio statale sui quali la verifica deve essere effettuata, 
corredati di schede descrittive recanti i dati conoscitivi relativi ai singoli 
immobili.  9. 
I criteri per la predisposizione degli elenchi e le modalita' di redazione delle 
schede descrittive sono stabiliti con decreto del Ministero per i beni e le attivita' 
culturali, da emanare di concerto con l'Agenzia del demanio entro trenta giorni 
dall'entrata in vigore del presente decreto legge.  10. 
La soprintendenza regionale, sulla base dell'istruttoria svolta dalle soprintendenze 
competenti e del parere da queste formulato nel termine perentorio di trenta giorni 
dalla richiesta, conclude il procedimento di verifica in ordine alla sussistenza 
dell'interesse culturale dell'immobile con provvedimento motivato e ne da' comunicazione 
all'agenzia richiedente, entro sessanta giorni dalla ricezione della relativa 
scheda descrittiva.  11. 
Le schede descrittive, integrate con il provvedimento di cui al comma 10, 
confluiscono in un archivio informatico accessibile ad entrambe le amministrazioni, 
per finalita' di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli 
interventi in funzione delle rispettive competenze istituzionali.  12. 
Per gli immobili appartenenti alle regioni ed agli altri enti pubblici territoriali, 
nonche' per quelli di proprieta' di altri enti ed istituti pubblici, la verifica 
e' avviata a richiesta degli enti interessati, che provvedono a corredare l'istanza 
con le schede descrittive dei singoli immobili. Al procedimento cosi' avviato 
si applicano le disposizioni dei commi 10 ed 11.  13. 
Le procedure di valorizzazione e dismissione previste dai commi 15 e 17 dell'articolo 
3 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con legge 23 novembre 
2001, n. 410, nonche' dai commi dal 3 al 5 dell'articolo 84 della legge 27 dicembre 
2002, n. 289, si applicano anche ai beni immobili di cui al comma 5 del presente 
articolo, nonche' a quelli individuati ai sensi del comma 112 dell'articolo 3 
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, e del comma 
1 dell'articolo 44 della legge 23 dicembre 1998, n. 448. All'articolo 44 della 
legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, sono soppressi i commi 
1-bis e ter. Emendamento all’Art. 27 Apportare le seguenti modificazioni a) al 
comma 4, sostituire le parole da “ai competenti uffici” fino al termine del periodo 
con le seguenti: “agli enti di cui al comma 1”; (27.78) b) sopprimere il comma 
5; (27.79) c) al comma 6 aggiungere, in fine, il seguente periodo; “L’accertamento 
positivo costituisce dichiarazione ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 
490 del 1999 ed è trascritto nei modi previsti dall’articolo 8 del medesimo 
decreto legislativo”; (27.80) d) al comma 9 dopo le parole “schede descrittive” 
aggiungere le seguenti: “, nonché le modalità di trasmissione dei predetti elenchi 
e delle schede descritte anche per il tramite di altre amministrazioni interessate,”; 
(27.40) e) al comma 10 aggiungere, in fine, il seguente periodo: “La 
mancata comunicazione nei termini anzidetti equivale ad esito negativo della verifica”; 
(27.59) f) al comma 11 dopo le parole “le schede descrittive”, inserire le seguenti: 
“degli immobili di proprietà dello Stato oggetto di verifica positiva”; (27.63) 
g) al comma 13, primo periodo: 1. sostituire le parole: “si applicano anche ai 
beni immobili di cui al comma 5”, con l seguenti: “si applicano anche ai beni 
immobili di cui al comma 3”; 2. dopo le parole: “articolo, nonché”, inserire le 
seguenti: “sentito il Ministero della Difesa quanto alle sue eventuali esigenze 
concernenti il territorio comunale interessato dalle singole procedure di valorizzazione,”. 
(27.72) Tarolli  |   |  |  torna 
          all'inizio |  |