A Forte Procolo solo sporcizia
12/03/2006

"L'asciato all’abbandono si è ormai trasformato in rifugio di clandestini L’appello di un cittadino a Comune e Demanio. E parte una raccolta di firme I cittadini vogliono farne uno spazio per iniziative L’intera zona è popolata da baracche di sbandati Sporcizia e degrado a Forte Procolo. La struttura militare asburgica al centro del quartiere Navigatori è diventata alloggio di clandestini. A denunciarlo è un residente, Andrea Bocchin, che stanco di dover fare i conti con continui atti di microcriminalità, quali furti di biciclette, motorini e piccoli «colpi» anche nelle abitazioni, ha dato il via ad una raccolta di firme e ad una lunga lista di lettere alle autorità cittadine. «Tutta l’area attorno a Forte Procolo è terra di nessuno», spiega Bocchin, «è stata lasciata nell’incuria da anni e quel che è grave è che si trova nel mezzo di numerose abitazioni. Vi regnano sporcizia e insalubrità». Bocchin assicura che all’interno della zona, che è di proprietà del demanio militare, ci sono diverse baracche dove i clandestini trovano riparo. «Ho avvisato la questura», spiega, «che si è subito attivata. Ma, come sempre, le pattuglie passano e i clandestini poco dopo tornano. Purtroppo la situazione è grave in quanto i numerosi sbandati che vi trovano rifugio minano quotidianamente il quieto vivere di chi è residente nel quartiere». Non trovando un’adeguata risposta alle proprie sollecitazioni, Bocchin non ha esitato a rivolgersi direttamente al reparto infrastrutture dell’ufficio demanio e servitù militari chiedendo esplicitamente «il ripristino della recinzione e il disboscamento» dell’area. Non solo, ha chiesto anche che l’area venga concessa per attività pubbliche e di aggregazione. La risposta da parte del reparto infrastrutture non si è fatta attendere ed è emerso che l’opera militare rientra in quelli che sono da considerarsi beni alinenabili, vale a dire in vendita. «Il nostro quartiere», sottolinea Bocchin, «è sempre stato caratterizzato da insediamenti militari come l’ex caserma Martini che si affaccia su viale Colombo, il poligono di tiro. È un peccato perdere un valore così importante come Forte Procolo». Del resto Forte San Procolo, questo è il suo nome originale, risale al 1840, è tra le opere di fortificazione più significative della città realizzate dall’impero asburgico. Faceva parte del cosiddetto piano di riequilibrio delle forze austriache nel Veneto, assieme ad altre strutture quali le torri San Giuliano, il forte San Giorgio. Completava la difesa a destra dell’Adige. Era presidiato da 230 fanti ma in emergenza poteva ospitare 438 uomini. Attualmente le mura sono quasi integralmente conservate e questo ultimo dato ha permesso a Bocchin, che tra l’altro è architetto, di lanciare una proposta che se verrà accolta potrà finalmente offrire alla città uno spazio ricreativo-culturale. «Riportare questa struttura ad un livello di civiltà ed ospitalità è cosa dovuta», premette Bocchin, «se non altro per il valore storico culturale che ha di per sè il forte. Ricordo che in questo spazio militare in epoca fascista venne fucilato Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Di conseguenza rientra in un pezzo della nostra storia contemporanea». «Se il Comune e gli altri enti raggiungeranno un intesa con il demanio», propone, «noi cittadini del quartiere potremmo gestire questi spazi proponendo manifestazioni culturali, musicali. Giovani ed anziani del quartiere non hanno molte aree a loro disposizione. Restituire vitalità a questo spazio urbano significa dare la possibilità ai cittadini di rendersi utili, non solo di vivere sicuri senza l’assillo che qualcuno gli entri in casa o gli porti via da sotto il naso la bicicletta».

Anna Zegarelli Domenica 12 Marzo 2006 L'Arena

 
 
Sos polveri, monumenti in pericolo
28/02/2006

"Si depositano dappertutto. Sporcano e inquinano. Ma alcune polveri - sottili, e non solo - sui marmi antichi fanno di peggio. Trasformano chimicamente la natura di quelle pietre. Come quelle, un tempo candide, che ricoprono la piramide Cestia. O il marmo dell'ormai "carbonizzato" Mosè di largo Santa Susanna. Fino al travertino del Palazzaccio, che ha già perso lo smalto del recente restauro. L'allarme polveri verrà lanciato oggi aldurante la giornata organizzata dall'Istituto centrale del restauro e dall'Agenzia protezione ambiente. Il ministero Beni culturali e quello dell'Ambiente illustreranno i risultati di una ricerca sull'incidenza delle polveri sui monumenti di Roma e Milano. Nella Capitale le cose vanno meglio. E vanno meglio anche rispetto al passato di Roma. Grazie al calo dei gas (diminuiti sono i casi di solfatazione, i marmi che si sfarinano come gesso). Eppure rimane il grave problema delle polveri. Che anneriscono statue e palazzi. E che, spesso, mutano e minano l'integrità dellepie tre. Non solo un problema estetico, ma strutturale, vitale.."

La Repubblica (Roma) 28/02/2006

 
 
II centro è sempre più una baraccopoli di plastica
01/02/2006

Intervista a Pier Luigi Cervellati:

"All'aperto non dovrebbero esserci nemmeno i vasi dei fiori". "Uno schiaffo all'arredo urbano con pedane rialzate e brutte coperture" «MI devono spiegare perché se uno tinteggia la casa di un colore diverso da quelli consentiti o se modifica una finestra di qualche centimetro prende la multa e uno che realizza una vera e propria struttura in strada possa tranquillamente essere autorizzato» si interroga Pierluigi Cervellati (nella foto a destra), architetto di fama ed ex assessore all'Urbanistica del Comune. Una differenza di trattamento piuttosto evidente e curiosa... «Non c'è dubbio. Oltretutto qui si sta realizzando una sorta di baraccopoli di plastica e ferrovetro, corredata di altri elementi negativi sul piano dell'arredo urbano come pedane rialzate, coperture di dubbio gusto, perimetri di fioriere di plastica che, se diventano stabili tutto l'anno, si trasformano, appunto, in baraccopoli». Cosa si dovrebbe fare, allora? «All'aperto non ci dovrebbero essere strutture, nemmeno i vasi dei fiori per delimitare gli spazi perché danno l'idea del degrado crescente. Qui non si tratta di fare un patto con la sovrintendenza, ma della necessità di un governo pubblico della città». Lei ritiene che in centro si debbano sfrattare i 'dehors' dappertutto o ci sono posti in cui sono tollerabili strutture, magari più esili? «In linea generale, in centro, come ho detto, sono contrario alle strutture. Poi ci sono posti e posti. In alcuni non dovrebbe esserci assolutamente nulla, come in piazza Maggiore, per esempio. In altri si può discutere di occupazioni temporanee. Sono contrario, per fare un altro esempio, all'occupazione dei portici: secondo me, lì non dovrebbe esserci nulla». Il Comune e la sovrintendenza cosa dovrebbero fare? «Si dovrebbe giungere a un disegno pubblico di razionalizzazione degli spazi e quindi istituire dei parametri formali coi quali giudicare se una proposta è fattibile o incompatibile col contesto. Ripeto, non un patto Comune-sovrintendenza, ma un progetto ben fatto che tenda a eliminare le strutture permanenti e a definire i requisiti ai quali i 'dehors' dovranno attenersi». Lei, quindi, è per togliere tutto quello che voi tecnici chiamate «superfetazioni»? «Ma è ovvio. Perché viene punita una modifica al primo piano e non una al piano strada? Oltretutto mi sto accorgendo che le 'verande' costruite a Bologna, tra tutte quelle che ho visto in giro, sono le più brutte. Certe aggiunte sulla strada sembrano degli autobus doppi parcheggiati a ridosso degli edifici storici. Inoltre, da una parte si fa di tutto per togliere le auto dalle strade del centro e poi si consente a queste cose di proliferare e prendere il loro posto che è anche peggio. Andando avanti di questo passo la città si riempirebbe di 'dehors' e cambierebbe il suo volto».

La Repubblica – Bologna Cronaca, 1 feb. 2006

 
A spasso per Firenze
19/01/2006

"Un girone così non l'ho immaginato neppure io». Forse questa sarebbe la frase che direbbe Dante dopo aver rivisto la 'sua' Firenze. Atterrando al piazzale del Poggio Imperiale, di fronte alla villa medicea, ammirerebbe la facciata cinquecentesca. Peccato, però, il rischio potrebbe essere quello di inciampare nei cassonetti "irremovibili". Ma Dante non è tipo che si arrende. Armato di elmetto, non si sa mai visto che dal Bargello e non solo cadono pezzi di cornicione, il nostro fantomatico poeta prosegue il suo tour. Il fascino del centro lo spinge a inoltrarsi nei vicoli medievali della città. Ed ecco alzarsi il sipario sullo show: cassonetti straripanti di spazzatura, cartacce ovunque, file di bottigliette abbandonate, escrementi di cavallo tra cui fare lo slalom. La nostra guida va avanti sgomitando tra orde di turisti 'incantati' di fronte ai mimi che assediano il loggiato degli Uffizi. Una bella foto ricordo con il Faraone all'angolo di via della Ninna e si riparte. Più che il loggiato del Vasari sembra la Rambla di Barcellona. Stessa scena in piazza Duomo tra scarichi di autobus, transenne e impalcature. Cerchiamo un po' di pace in piazza Santa Maria Novella. Qui più che Firenze sembra una succursale delle Filippine, specialmente il giovedì pomeriggio. E tra il pratino e il vicino sottopassaggio della stazione si cammina su un tappeto di bottiglie di birra. Perfino la lussuosa via Tornabuoni, la sera, è assediata dai sacchetti della nettezza. Il maestro rimpiange le sue bolge. Quelle, in definitiva, sono solo infernali. Le strade, per il continuo passaggio di auto e bus, sembrano un formaggio gniviera: buchi ovunque. Dove sono finiti i lastricati di pietra serena? Le domande arrovellano il 'nostro cervellone' che inciampa nelle transenne arrugginite piazzate sull'ennesimo cantiere. Le domande non finiscono. Perché l'ex cinema Apollo è ridotto in quello stato di degrado e abbandono? Disorientato, il maestro chiede lumi. La risposta non lascia spazio a dubbi: «Bisognerebbe non avere più vista, udito e olfatto per non accorgersi del degrado imperante. La sporcizia, oltre alla vista inquina anche l'olfatto». Sottobraccio al 'maestro' ci inoltriamo nel vicolo del Gomitolo d'Oro. Cos'è quest'odore? Esalazioni della palude Stigia? No, un cartello chiarisce: «Si prega di non urinare», ripetuto in arabo e in inglese. Di corsa ce ne andiamo e finiamo in piazza Brunelleschi. Il muro che fiancheggia l'Università è imbrattato da sfregi, croci celtiche, falci e martello, da murales non sempre artistici. Per fortuna ci siamo capitati di giorno. Di notte bisogna anche guardarsi alle spalle. Dante, scuote la testa e, stremato, se ne torna nel tranquillo avello di Ravenna. Insomma, non sempre l'esilio è il male peggiore. Non possiamo dargli torto."

LA NAZIONE FIRENZE 19-GEN-2006

 
La bellezza soffocata dallo smog
26/10/2005

"L’allarme lanciato da Legambiente a proposito delle condizioni di degrado in cui versano, a causa dell'inquinamento, i monumenti lungo il Cassaro pone l'accento su due questioni centrali, connesse e sinora irrisolte, relative alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio urbano: la necessità di pensare i singoli interventi di recupero e restauro in un'ottica progettuale unitaria anziché isolatamente per singoli tasselli, e di elaborare una strategia che tenga conto dell'equilibrio non facile tra le esigenze della conservazione dei brani della città antica da un lato e, dall'altro, delle funzioni economiche e residenziali di cui nessuna parte di città può prescindere. Questioni complesse che hanno alimentato per anni il dibattito sui centri storici, e che a Palermo sono rimaste quasi sempre lettera morta, affidate a iniziative estemporanee senza prevedere un processo di ridisegno graduale e ormai comunque improcrastinabile dei meccanismi di funzionamento della città. Col risultato, sotto gli occhi di tutti, di una rinuncia di fatto a controllare le cause del degrado ambientale, e lasciando alla mercé dei gas di scarico statue, decori, facciate di chiese e palazzi. Il caso di corso Vittorio Emanuele ma anche di via Maqueda è tanto più eclatante in quanto investe il fulcro monumentale e simbolico della città: la grande croce di strade che segna i confini dei quattro mandamenti del centro antico sulle cui direttrici si è andata sedimentando la sua storia urbana, l'audace piano di riconfigurazione degli antichi quartieri attuato attraverso il doppio prolungamento e la rettifica del Cassaro tra il l567 e il l581, e il taglio della Strada Nuova a partire dal 1600. Una successione di architetture — dalla Cattedrale a piazza Bologna a San Giuseppe dei Teatini, dal complesso di piazze che dispone come un succedersi di quinte teatrali piazza Pretoria, Santa Maria dell'Ammiraglio e San Cataldo ai grandi palazzi aristocratici settecenteschi — che dovrebbe avere per Palermo la stessa centralità che ha per Firenze l'asse che da piazza del Duomo conduce a piazza della Signoria, e che invece rimane pressoché invisibile: occultato dall'incessante fiumana di automobili il magnifico cannocchiale prospettico che conduce da Porta Felice a Porta Nuova, mortificata dalla sporcizia accumulata giorno per giorno la sontuosa cortina architettonica di palazzi nobiliari, occupata dai parcheggi selvaggi la sequenza dei piani rinascimentali e barocchi, lo spazio in cui fu convogliato lo sfarzo della città capitale soffoca e agonizza. Lo stato in cui versano oggi i Quattro Canti è forse l'esempio più evidente dei danni prodotti dall'assenza di una politica unitaria di tutela: appena pochi ani fa, il restauro aveva restituito la partitura delicata delle cromie della pietra e dei marmi, una variazione di bianchi e ocre oggi nuovamente annerita e bisognosa di un nuovo intervento; anche se, perla materia di cui ogni architettura è composta, ogni restauro rappresenta sempre un piccolo trauma, e le operazioni di pulitura non possono di conseguenza ripetersi di continuo. Una sorte simile attende, se non interverranno mutamenti capaci di rimuovere le cause del degrado, le statue ancora candide della Fontana Pretoria, la scena dell'Annunciazione e l'albero della vita che ornano il timpano del portico meridionale della Cattedrale, e la facciata dell'Oratorio del Santissimo Salvatore, dove, a restauro quasi ultimato, dalle impalcature occhieggia il ritrovato giallo paglierino della pietra anziché la densa superficie nera che avevamo conosciuto da sempre. Non vi è dubbio che la situazione è stata aggravata dalle decisione dell'attuale amministrazione di riaprire indiscriminatamente al traffico la via Maqueda, dopo che la relativa isola pedonale con l'apertura ai soli autobus di linea e ai veicoli delle forze dell'ordine e delle ambulanze aveva garantito una riduzione sensibile delle emissioni di gas di scarico delle automobili, le più nocive e corrosive. Una soluzione controversa quella adottata dalla precedente giunta, senza dubbio parziale e imperfetta, ma almeno un primo passo nella direzione giusta; abolita in nome della sicurezza dei pedoni, fu detto, in attesa di un piano traffico annunciato inizialmente tra le priorità e invece subito rimosso, che ha ridotto via Maqueda (ma lo stesso vale per corso Vittorio Emanuele) al collasso: con auto parcheggiate sui marciapiedi e in doppia fila ad ogni ora del giorno, operazioni di scarico delle merci effettuate in barba a qualsiasi ordinanza regolatrice, e i pedoni costretti a uno slalom (questo sì) pericoloso, per non dire di chi è costretto ad avventurarsi per la strada con bambini al seguito o su sedia a rotella. Nella città antica i diritti sono dei fuoristrada, non dei più deboli. I provvedimenti da prendere sarebbero almeno nel breve periodo impopolari probabilmente per gli automobilisti, certamente peri commercianti, e dovrebbero avere come approdo finale (ma in tempi certi) la pedonalizzazione delle due strade sull'esempio di quanto avviene in molte altre città italiane ed europee in aree della stessa estensione, prevedendo dissuasori a scomparsa per permettere l'accesso ai residenti, parcheggi vicini all'area pedonale, servizi continui di minibus elettrici; senza che il commercio ne soffra, anzi: perché una dimensione urbana diversamente ordinata e vivibile è al contrario la premessa per la riqualificazione commerciale dell'intera zona. Altrimenti, rassegniamoci alla progressiva e implacabile rovina dei monumenti simbolo della nostra storia. e

SERGIO TROISI 26/10/2005, La Repubblica, Palermo

 
Incuria e degrado in piazza
3/10/2005

"Comune ed Hera maltrattano la “sua” piazza e l’architetto Sandro Volta protesta. Nei giorni scorsi il professionista milanese ha inviato una lettera piccata e poco tenera a sindaco e assessori, elencando tutto ciò che non gli piace del modo in cui piazza Tre Martiri e dintorni vengono usati. “Manca una politica complessiva nella gestione del centro storico - attacca - e a farne le spese è non solo una piazza pensata e realizzata per essere una riqualificazione, ma l’intera isola pedonale”.Il punto di partenza è proprio la destinazione “pedonale” della piazza. “Posso arrivare a capire i residenti - tuona l’architetto - ma tutto quel via vai di camion, furgoni, treni e trenini proprio non lo digerisco. Il risultato finale può piacere o meno, ma quel lavoro ha ridato alla città la sua isola pedonale nel centro storico e tale dovrebbe rimanere. Sento spesso parecchie lamentele su questo punto anche dai commercianti ma non vedo cambiamenti nella gestione da parte dell’amministrazione. In molte città, compresa Milano, i camion vengono lasciati nei parcheggi attorno al centro e il materiale trasportato con i carrelli: non è mai morto nessuno. Oppure si fissano orari rigidi per le consegne e si fanno rispettare”.Bocciata da Volta anche l’ipotesi di ritorno dei mezzi pubblici. “È una cosa da matti. Se uno va all’Iper di Savignano può capitare anche di lasciare la macchina in un parcheggio a 300 metri, ma la stessa persona non è disposta a fare 150 metri in centro”Ma è verso Hera che l’architetto rivolge le parole più dure. “Penso non stia rispettando in pieno l’appalto di manutenzione ricevuto dal Comune. I lavori vengono fatti male e senza criterio. Quando, ad esempio, ci sono delle spaccature nella pavimentazione, anzichè sostituire la piastra danneggiata chiudono il buco con il cemento, c’è una panchina all’inizio di via IV Novembre che ancora non è stata riparata, altre due mancano di fronte all’edicola di piazza Tre Martiri. Vanno meglio segnalate anche le asole con i resti archeologici, altrimenti diventano grossi bidoni dell’immondizia a cielo aperto”.Il problema, conclude Volta, “è che, se è l’amministrazione comunale a non tutelare per prima i propri beni, non ci si può aspettare che lo facciano gli altri”.

Corriere della Romagna, 3 ottobre 2005

 
Lo scempio dei tempietti romani
27/6/2005

"Vetri rotti, sporcizia diffusa, scritte sulle mura millenarie Doveva essere il biglietto da visita di Chieti e invece il sito archeologico è una vergogna Scritte spray e sporcizia nei tempietti romani il simbolo dell'incuria CHIETI. Ad una prima occhiata si notano il cancelletto divelto e i faretti sradicati. Segni di vandalismo che si aggiungono a vetri rotti e cartacce, mozziconi sparsi e ogni genere di sporcizia. Uno scenario già raccapricciante per una periferia. Figuriamoci per i tempietti romani che, in pieno centro storico nella città ultramillenaria, sono una parte importante di ciò che resta di un passato irripetibile. L'originario tempio italico, il pozzo votivo di epoca marrucina, il podio che sostiene i templi gemelli voluti da Marco Vezio Marcello e due costruzioni più semplici Oltre duemila anni di storia che, recuperati con una poderosa opera di riqualificazione, avrebbero dovuto inaugurare la "rinascita culturale" della città che cronologicamente si colloca prima della capitale. Avrebbero dovuto essere il centro vitale di un parco archeologico esteso dalla Civitella alle cisterne sotterranee di piazza Valignani Invece, ricettacolo di sporcizia e incuria, i tempietti sono oggi luogo di incontro per ra-gazzini alle prese con la prima sigaretta, studenti parcheggiati sul ponticello di vetro e vandali ignoti che, a cadenze irregolari, si divertono a deturpare il patrimonio collettivo. Nel giardino cartacce, fogli di giornali e cartoni di ogni dimensione. Anche i pavimenti - risistemati con tavolette di legno scuro - non sono più calpestabili Pezzi di plastica accumulati agli angoli dell'edificio, mentre le scritte spray sono la cornice degli antichi mattoncini C'è chi se la prende con Ma ratti per le sorti dell'Inter e chi giura eterno amore ad una fantomatica ragazzina. Altro che rinascita culturale. Perfino parte del vetro antisfondamento è stato distrutto in mille pezzi E pensare che i tempietti erano destinati ad essere il biglietto di visita del capoluogo di provincia. Si era parlato di uno sportello informativo per il sistema museale cittadino oppure di un centro multimediale di orientamento, e qualcuno continua ancora a lavorare sul progetto. Qualche settimana fa, era stato promosso uno spettacolo di arte contemporanea. Visitatori e applausi Poi cartacce e resti di una costruzione artistica, ridotta a brandelli di legno e filo pesante. Nessuno l'ha rimossa e la sporcizia ha continuato ad accumularsi Forse, come era stato già ipotizzato, non rimane che chiudere i tempietti con una recinzione di diversi metri Si salverebbe la storia, ma al prezzo di renderla invisibile."

Alessandra Fiore - il Centro Chieti, 27 giugno 2005

 
Degrado in piazza Mercanti
16/6/2005

"La guerra al degrado urbano? «Non bastano gli sponsor, chi deve combatterla è la pubblica amministrazione». Lo dice Carla Di Francesco, sovrintendente ragionale ai beni artistici e architettonici, all'indomani dell'allarme sul degrado di Piazza dei Mercanti. Ma mentre il Comune si difende respingendo al mittente le accuse d'inerzia («L'ultimo restauro è del '99 e ci abbiamo speso 10 miliardi di vecchie lire», dice il vicesindaco De Corato), è la Camera di Commercio a farsi avanti per proporre: «Se il Comune ci sta, piazza dei Mercanti siamo pronti ad adottarla noi». L'architetto Di Francesco, sulle armi per combattere il degrado, ha le idee chiare: «Gli strumenti principali anti-degrado si chiamano manutenzione e controlli. Spesso in quest'ordine». E il senso civico no? «Ovvio che sì. Ma anche quello, inteso come cultura del rispetto delle cose e delle regole, non può nascere dall'oggi al domani. Va coltivato e fatto crescere. E in questo campo è figlio, anche lui, di una buona manutenzione e di controlli costanti». E la sovrintendente continua: «Naturalmente Palazzo della Ragione è solo una delle situazioni milanesi critiche. E non è possibile proporre una ricetta unica per tutte». Esempi? «Prendo tre casi diversi. Il primo sono le Colonne di San Lorenzo: un luogo frequentatissimo, dove è evidente che non basta "l'uso" di uno spazio per impedirne il degrado, ma occorre che quell'uso sia a sua volta soggetto a regole. Il secondo Grazie, dove invece il problema numero uno è la manutenzione ordinaria. Il terzo è la Stazione Centrale, summa dei cattivi comportamenti, dove il degrado è prima di ogni altra cosa un problema sociale». A chi spetta intervenire? Carla Di Francesco non ha dubbi: «Premesso la responsabilizzazione dei cittadini, perché ogni bene pubblico appartiene a tutti e a ciascuno, e come tale dovremmo trattarlo, manutenzione e controlli spettano evidentemente alla pubblica amministrazione». E gli sponsor privati? «Ben vengano, certo, ma la loro utilità dipende soprattutto dalla continuità. Sulle aiuole è più facile, su una piazza lo è meno. Insomma, ogni contributo per una non si può sempre scaricare sui privati un ruolo supplente di compiti pubblici». Nel frattempo però, come si è detto, la Camera di Commercio ce l'avrebbe eccome, la voglia di rendersi utile. E sottolineando come, tutto sommato, Piazza dei Mercanti sia vicina all'ente non solo nel nome ma anche logisticamente, con Palazzo dei Giureconsulti appena di là dalla strada, il presidente Carlo Sangalli lancia al Comune un'offerta concreta: «Se Palazzo Marino lo ritiene utile, siamo pronti a collaborare fattivamente perché la Piazza e il Palazzo della Ragione siano curati come meritano». Il vi-cesindaco De Corato prende la palla al balzo e risponde immediatamente: «Prendo atto e ringrazio di questa disponibilità, in attesa di ricevere un progetto». Quel che tiene a precisare aspettando di riceverlo è che «il Comune, sul Palazzo della ragione e la piazza sottostante, non è stato affatto con le mani in mano». Elenca: «II restauro lo abbiamo fatto ed è recentissimo. Certo può esserci qualche lastra di pavimento che ha ceduto, e sarà sostituita come è stato già fatto in passato. I graffiti? Li puliamo regolarmente: il fatto che ricompaiano, come è nota, è un problema di tutta Milano e lo stiamo affrontando non da ieri. Quanto all'utilizzo della piazza, ricordo solo che mostre, concerti e iniziative organizzate dal Comune in quello spazio non si contano, l'ultima rassegna jazz è finita la scorsa settimana». i

Paolo Foschini Corriere della Sera – Milano, 16/06/2005

 
spazzatura all'anfiteatro di Lecce
12/6/2005

"Il sindaco infuriato per i rifiuti che rovinano l’ immagine della città: non possiamo intervenire «Costretti a subire lo sconcio» - Sindaco Poli: la pulizia dell'anfiteatro spetta alla Sovrintendenza. Che i rifiuti nell'anfiteatro romano siano uno sconcio non vi è dubbio, ma il Comune ha le mani legate: parola di sindaco. Adriana Poli Bortone attacca la Sovrintendenza, proprietaria del monumento e quindi tenuta a garantirne la custodia, la pulizia e la fruibilità. «Abbiamo le mani legate, dice il sindaco, malgrado quello sconcio sia una macchia pesante sul biglietto da visita della città. Più volte abbiamo sollecitato una soluzione, offrendo collaborazione, ma invano». Il sindaco, però, tornerà alla carica: una soluzione va trovata, quello sconcio deve essere rimosso in fretta. Le stranezze: ma che serve il custode? «Ingresso vietato ai netturbìni» Solo pochi giorni: fa l'anfiteatro ha ospitato ì tifosi che hanno festeggiato la permanenza in serie A del Lecce. Nessuno li ha fermati, perché ora dovrebbero fermare i netturbini? Vita magra di un monumento-simbolo. L'anfiteatro-discarica è quanto di "meglio" la burocrazia (quella con la "b" alta quanto una casa) riesca a offrire in città. Se all'interno i rifiuti si ammucchino - grazie soprattutto, va detto, agli incivili che usano la cavea come un'enorme pattumiera - non si riesce a inviare qualcuno che pulisca. Il Comune spiega che il compito deve essere della Soprintendenza, responsabile del sito archeologico, ma la stessa Soprintendenza non prevede alcun intervento di rimozione della spazzatura. C'è solo un custode, che svolge il suo lavoro in alcune ore della giornata e che da solo non può far nulla. E allora, con l'amministrazione comunale che non può muoversi e la Soprintendenza che non ne vuol sapere, nessuno interviene. Formalmente se un dipendente della società che ha in appalto la nettezza urbana a Lecce dovesse scavalcare 'il cancelletto per raggiungere l'interno dell'anfiteatro commetterebbe un reato. Potrebbe giungere un poliziotto o un carabiniere, o un vigile urbano, a bloccarlo. Potrebbe. Però è ben difficile che accada, visto che in ogni momento della giornata e della notte in tanti scavalcano indisturbati quel cancelletto che è di fronte ai portici del palazzo Ina. Indisturbato lo scavalcò, un paio di anni fa, Gianni Ippoliti con il suo gruppo di volontari che m un pomeriggio raccolsero ogni genere di rifiuti ripulendo il monumento. Nessuno intervenne per fermare chi stava pulendo. Vuol dire, questo, che la stessa tolleranza verrebbe applicata se a pulire fossero i dipendenti della società della nettezza urbana? E poi, è stato fatto notare, l'esigenza di tenere pulita quella parte della città e quindi la necessità di garantire il decoro non sarebbero sufficienti a giustificare un "blitz" dei netturbini. Già, ma in tal caso chi pagherebbe visto che nel capitolato d'appalto non è compresa la pulizia dell’anfiteatro? Solo domande, per ora, ma qualcuno una risposta dovrà pur darla. La settimana scorsa, mutato, è stato ripulito il teatro romano, su iniziativa della Fondazione Memmo (che gestisce il museo attiguo, nella piazzetta dove c'è il monumento a Fanfulla) e della Ecotecnica, quest'ultima la società che gestisce a Lecce (con l'Aspica) il servizio di nettezza urbana. Un destino diverso rispetto a quello dell'anfiteatro, grazie anche a Itersalento che, in collaborazione con la Fondazione Memmo, organizza spesso visite guidate e iniziative per i turisti. Nuovo Quotidiano Lecce 13-GIU-2005 Il sovrintendente chiede di incontrare la Poli e fa una proposta: «Coinvolgiamo anche i privati nella gestione del monumento» L'anfiteatro cerca un padrone di ANNA RITA INVIDIA Messo "sotto accusa" dal sindaco Adriana Poli Bortone («Se l'anfiteatro romano è sporco non è colpa nostra, la pulizia non spetta a noi»), il sovrintendente ai Beni archeologici Giuseppe Andreassi mette le mani avanti. «Non fatemi fare la parte del cattivo - dice -, io voglio risolvere questo problema almeno quanto lo vuole il sindaco. Anzi, ne approfitto per lanciare una proposta che, a mio parere, rappresenta anche l'unica soluzione reale: istituire un tavolo tra Sovrintendenza, amministrazione comunale e agenzia del demanio, che è la proprietaria del bene». Già l'anno scorso il problema della pulizia dell'anfiteatro fu sollevato e ci furono anche i primi contatti tra la Poli e Andreassi. «Fu tu uno scambio di lettere - continua il sovrintendente - ma poi, presi da tanti problemi, non se ne fece niente. L'anno scorso riuscimmo a tamponare con qualche intervento di pulizia strardinaria, faremo la stessa cosa anche adesso: è già nelle previsioni». Ma non è una pulizia straordinaria - neanche una volta al mese - che può risolvere il problema dell'anfiteatro di piazza Sant'Oronzo. «Il fatto è proprio questo - conferma Andreassi -, se domani noi ripuliamo l'anfiteatro, tra quindici giorni sarà nuovamente sporco. Anche perché come i leccesi sapranno meglio di me, visto che l'anfiteatro ce l'hanno sotto gli occhi, questo monumento si è trasformato in un centro di aggregazione giovanile. Nell'anfiteatro viene gettato di tutto, dalle lattine alle bottiglie e alle cartacce. A Tarante, per un'importante zona archeologica, siamo riusciti a trovare una soluzione sottoscrivendo una convenzione con il Comune che provvede, alla presenza di un nostro addetto, a pulire due volte a settimana». Il problema è complesso, non riguarda solo la pulizia e il decoro dell'anfiteatro: ormai è arrivato il momento di parlare del futuro di questo monumento (che non è aperto al pubblico da almeno quindici anni) e della sua gestione complessiva che non può non comprendere la fruizione del bene. La Sovrintendenza avvisa: da " sola non può caricarsi dell'onere di portare avanti la gestione dell'anfiteatro. Serve la collaborazione di Palazzo Carafa e - perché no ? - anche dei privati. «L'anfiteatro - spiega Andreassi - è un bene di difficile gestione. Come sono tutti i monumenti all'aperto, che richiedono una pulizia quotidiana o quasi e una vigilanza continua. Se non ricordo male proprio a Lecce, la scorsa estate, qualcuno sollevò il problema delle chiese che erano aperte solo per poche ore. Non mi sembra che sia stata trovata una soluzione perché l'unica possibile e quella di pagare qualcuno che sia presente durante tutto l'orario di apertura. E' una soluzione costosa. Lo stesso discorso vale per l'anfiteatro: il problema è di presidio umano». C'era un tempo, prima del '90, ossia prima che iniziassero i lavori nell'anfiteatro romano, in cui la Sovrintendenza ai beni archeologici provvedeva sia alla pulizia che a tenere aperto il monumento. «Un monumento così antico e all'aperto - aggiunge ancora Andreassi - non può essere fruibile senza controllo, né si può pensare di blindarlo. Forse oggi non lo si riporterebbe nemmeno alla luce. Prima eravamo noi a occuparci di tutto, poi con l'inizio dei lavori, nel '90, l'anfiteatro è stato consegnato alla ditta che a un certo punto è anche fallita. Insomma, in questo lungo periodo di transizione, la situazione si è ingarbugliata ed è diventata ambigua. Oggi la Sovrintendenza non può assumersi l'onere di gestire da sola l'anfiteatro: una volta avevamo il personale per farlo, oggi non ce l'abbiamo». Da qui la proposta di Andreassi. «Rinnovo il mio invito al sindaco Poli Bortone a istituire un tavolo, a cui dovrà sedere anche l'agenzia del demanio, per trovare insieme una soluzione che non dovrà limitarsi alla pulizia ma riguardare l'intera gestione del bene. Si può decidere di concedere al Comune la gestione diretta dell'anfiteatro o si jpgtrebbei(. pensare di coinvolgere' ì* privati, ai quali però bisogna prospettare una possibilità di guadagno. Le ipotesi di soluzioni non mancano, io non ho la presunzione di poter dare una risposta in 24 ore e nemmeno in 24 giorni, tanto è complessa la situazione. Ma se inibiamo a lavorare adesso, forse a ottobre la convenzione sarà firmata». E magari la prossima estate non staremo qui a scandalizzarci di nuovo perché nessuno pulisce l'anfiteatro». o

Oscar D'Angelo Nuovo Quotidiano Lecce 12-GIU-2005

 
Degrado a castel S. Angelo
13/9/2004

"Roma: lontani i tempi «d'oro» del Giubileo. Strutture fatiscenti, topi e sporcizia assediano la fortezza Una discarica infestata dai topi, ai piedi del «passetto» papale. Antiche mura, ridotte a vespasiani. Latrine, bivacchi, accampamenti e «depositi bagagli» di barboni, senza tetto, disadattati, nel fossato e sui bastioni. Materassi e coperte infilati nelle antiche feritoie. Sistemi di irrigazione difettosi. Passerelle pericolanti e malamente transennate. Castel Sant'Angelo è assediato dal degrado. L'immortale storia d'amore della Tasca di Puccini si svolgerebbe ora dentro una sorta di campo nomadi. Eppure, in occasione del Giubileo, il Comune ha incassato ben quattro miliardi e mezzo di lire per i restauri e il ripristino del fossato e dei giardini di questa che è la fortezza papale più celebre e ricca di storia. Pioggia di milioni {tremila!) anche per la Soprintendenza archeologica. In meno degrado appare il fossato, per il cui recupero infrastnitturale il Decimo dipartimento del Comune ha incassato 1 miliardo 427 milioni 910mila lire di fondi giubilari. I turisti che si affacciano dal bastione di San Matteo vedono un albero rinsecchito, abbattuto, resti di rami e immondizie bruciate, una latrina dietro un cespuglio di alloro. Imboccando viale Giuseppe Ceccarelli «Ceccarius», ecco subito sulla destra un pilastro di mattoni sbrecciato, malamente delimitato da un nastro di plastica afflosciato. Sotto il pilastro, i bagni pubblici. La richiesta di servizi igienici risulta superiore all'offerta, a giudicare dal cartello bilingue, con la scritta: «Cortesemente non fate i vostri bisogni sulla porta». E un crescendo di degrado. In un fossato ai piedi del muro, tra O bastione San Matteo e quello di San Marco, c'è un deposito di cassette, coperte da vecchie incerate, bottiglie, perfino un sombrero. A pochi metri, sotto gli archi del passetto, quello che sembra un chiusino pieno di acqua lurida si rivela essere il portalampade di un lampione «a raso». Accanto, due enormi palanche, vicino a uno dei tanti cestini dell'Ama poggiato a terra, ai piedi del suo sostegno. Altre tavole marce sono quelle della passerella davanti all'ingresso posteriore del castello, proprio dirimpetto alla statua dell'imperatore Adriano. Evidentemente i fondi incassati dalla Soprintendenza ai Beni archeologici di Roma in occasione del Giubileo (1 miliardo 329 milioni 936mila lire, per il restauro del Mausoleo di Adriano) non sono bastati per sostituirle. Qualcuno, però, passa ancora su quelle tavole ogni giorno. Giacigli di cartone e cenci sono in piena vista sotto l'arco di questa postierla. Più discreti, altri barboni si sono installati nelle fosse recintate ai piedi del bastione San Marco. Utilizzano le feritoie circolari di marmo per depositarci coperte e trapunte. Altri materassi sono infilati in una fessura del muro, proprio davanti al portale d'ingresso, opera di Giovanni Sallustio Peruzzi nel 1556. Saliamo sui bastioni e sprofondiamo nel degrado. Il portale involontario a un vero e proprio abisso di sozzura è il passetto papale. Proprio dirimpetto alla stazione dei carabinieri San Pietro, in una cavità dei bastioni, i resti di un misero appartamento, dal tetto crollato. Si stenta a credere che il dipartimento X. del Comune abbia incassato ben 2 miliardi 898 milioni 531mila lire, per «Lavori di recupero infrastrutturale e vegetazionale dei giardini dei bastioni», in occasione del Giubileo. Il bastione San Marco, in particolare, è un lercio bivacco: cancellate diverte, fontane a secco, fossati di ronda riempiti di tappeti, trapunte, enormi sacchi di plastica pieni di chissà cosa. Tomba collettiva di imperatori, roccaforte delle mura aureliane, galera ostrogota, fortezza e lussuoso rifugio papale, carcere di personaggi celebri della storia (da Beatrice Cenci a Benvenuto Cellii), scenario virtuale di una delle opere liriche più famose al mondo e, infine, museo. Nemmeno un genio come Adriano avrebbe mai immaginato quante volte il suo mausoleo sarebbe stato riciclato. A realizzarlo pare sia stato lo stesso Adriano, non a caso, il nome di questo imperatore è legato al vallo di Adriano e a Villa Adriana. C'è da dire, però, che, anche se questo monumento ha ben resistito a duemila anni di assalti dei nemici e di ristrutturazioni dei proprietari, restando ancora leggibile, l'aspetto dell1 Hadrianeum era diverso da quello del Castel Sant'Angelo di oggi. Il tetto, rotondo, per esempio, doveva somigliare a quello del Mausoleo di Augusto, dall'altra parte del Tevere: un tumulo di terra di tipo etrusco, con molti alberi. Pare incredibile che questa tomba così grandiosa si potesse trasformare in una fortezza imprendibile. Ma così fu. Questa idea venne all'imperatore Aureliano. La tomba, via via fortificata, si rivelò imprendibile: le orde dei Goti dovettero togliere l'assedio. Ma fu ancora un re goto, Teodorico, a fare, per primo, della fortezza una prigione. Tradizione, poi, continuata dai papi.

Gian Pietro Milanetti - il Giornale 13-SET-2004

 
"I monumenti ridotti a discarche"
13/7/2004

"Roma: ruderi millenari ridotti a latrine. Celebri tombe circondate da resti di accampamenti di extracomunitari. Strade romane cosparse di immondizie o completamente ricoperte di terriccio. Angoli di marciapiedi devastati, recintati da reti di plastica arancione. Pannelli informativi imbrattati da sgorbi in vernice spray e da adesivi di protesta. Giardinetti usati dai senza tetto come dormitori, ridotti a pantani dagli impianti di irrigazione difettosi. Porta Maggiore, uno dei più celebri ingressi monumentali della Roma antica, soffoca nel degrado. Soprintendenze archeologiche. servizio giardini, Ama, vigili urbani, restano inermi di fronte al deterioramento di un patrimonio culturale che non è soltanto della Capitale, ma dell'umanità intera. Incuria e trascuratezza attaccano il cuore stesso della porta, il famoso sepolcro di Eurisace, posto tra i due archi principali. Il fossato che circonda la monumentale tomba è ancora ingombro da rifiuti: cenci, tavole e bottiglie, giornali, resti dell'accampamento di extracomunitari rimasto per mesi addossato al monumento. Proprio davanti al sepolcro, su piazzale Labicano, a lato della fermata del tram, un tratto di via romana (qui ne confluivano due: la Labicana e la Prenestina), a livello inferiore del piano stradale, è ridotta a una sorta di cassonetto scoperchialo: cartacce, bottiglie di plastica, Alcune immagini di degrado a piazza Maggiore: sporcizia, calcinacci, recinzioni, scritte che sconciano una delle piazze più trafficate del centro di Roma pacchetti di sigarette, ricche, rendono invisibili i tipici basoli della pavimentazione. Procedendo in dirczione nord, verso viale scalo san Lorenzo, l'erba dei giardinetti è quasi tutta secca per la siccità. Le bocchette dell'impianto di irrigazione sono tutte asciutte, tranne un paio, da cui fiotta l'acqua che alimenta due piccoli pantani, tra i quali si stendono logori giacigli di cartone. Al di là delle mura, c'è il tumulo di una tomba sostenuto da una staccionata. Ai piedi del sepolcro, una giacca e altri cenci stratificati. Tra il tumulo e le mura, siringhe abbandonate da eroinomani. A pochi passi dall'arco monumentale nord, ecco, tra i ruderi in laterizio, una miserabile cuccia per gatti, fatta di pezzi di elettrodomestici e pannelli. Al di là dei binari della Roma-Pantano, due piccoli recinti di plastica arancione racchiudono angoli di piazza che sembrano essere stati colpiti da un bombardamento chirurgico. Pali metallici a terra, tombini fuori sede, asfalto in pezzi, frammenti di cemento, inframmezzati da buste di rifiuti. Tra i due recinti, una vecchia cabina semaforica ferroviaria è tutta imbrattata di vernice rosa e blu. È un crescendo di degrado: ad alcuni metri in dirEzione di via di Porta Maggiore, il bagno pubblico interrato è aperto ma proprio nella nicchia d'ingresso dell'ascensore ci sono escrementi e ovatta sporca. Il vecchio telefono del parcheggio-taxi è scardinato. Restano solo i fili penzolanti. Proprio al centro di piazza di Porta Maggiore, in corrispondenza dei due archi centrali, l'unico pannello informativo è illeggibile, ricoperto com'è da vernice spray e adesivi dei pacifisti (come si ricorderà, piazza Maggiore doveva essere uno dei posti di blocco del movimento per impedire l'eventuale passaggio di Bu-sh, lo scorso 4 giugno). Pochi metri a sud, in dirEzione di via Eleniana, una spianata di terriccio con qualche filo d'erba e tante bottiglie di birra, lattine, fazzolettini e cartacce, ricopre un tratto di strada romana perfettamente conservata, prima visibile e transennata, ma perennemente ricoperta dalle erbacce e dalle immondizie e ultimamente anche dalle stesse transenne, piegate e sradicate da un'auto impazzita, e mai riparate. Appena a lato, appoggiato a un lampione, la carcassa di un motorino senza targa e un palo arrugginito con una tabella ormai illeggibile. Verso via Eleniana sotto due alberelli è legata una carrozzina di un barbone, stracarica di masserizie. Subito dietro, c'è l'angolo più degradato della porta. Una nicchia che emerge dal terreno è chiusa con un pannello di multistrato strappato a un mobile economico. Dietro, ciotole per i gatti. Addossato alle mura e nascosto da rampicanti, un anfratto è ridotto a una lurida latrina: escrementi tra pannelli di compensato, bottiglie di birra vuote, una vecchia batteria. A pochi metri, in direzione degli archi centrali, nella strettoia tra due muri, in piena vista, c'è una piccola discarica: cenci, vecchi giornali, bottiglie di plastica."

il Giornale - 13-LUG-2004

 
"I monumenti muoiono di inquinamento"
15/4/2004

"II grido di dolore di La Regina: "Smog, macchine, incuria " Dopo ricerche e studi venne messa a punto nel 1981 la legge Biasini, grazie alla quale si intervenne nei luoghi di maggiore degrado L'inquinamento dovuto al traffico delle auto e agli impianti di riscaldamento è tra le cause principali della rovina dei monumenti. Con la legge del 3 per cento si potrà usufruire di risorse per il patrimonio archeologico in occasione della realizzazione della linea C della metro Le immagini dei principali monumenti di Roma distratti dal degrado e dall'inquinamento diffuse nel 1979 fecero il giro del mondo.

"I nostri monumenti stanno morendo»: il grido di dolore si leva nella grande sala dell'Accademia dei Lincei, sede del convegno «Ecosistema Roma», tre giorni di una passerella di studiosi intorno al tema della vivibilità della città. L'allarme sul patrimonio artistico viene dal soprintendente Adriano La Regina che parla fra i primi, ieri mattina alle undici: «La lenta azione di decadimento della superficie marmorea dei monumenti romani prosegue inesorabile. È necessaria una nuova politica di conservazione dei beni artistici, tesoro che appartiene all'umanità intera. Salvaguardare il patrimonio monumentale della Capitale è sempre più difficile». Inevitabile ed immediato, il collegamento con quello che fu l'altro, storico grido d'allarme sul tema, lanciato alla fine degli anni Settanta, quando per intervenire sul degrado cronico dei monumenti si varò una legge speciale, la Biasini che servì a finanziare importanti restauri. Ma sono passati già più di vent'anni. Di smog, riscaldamento, d'incuria. Oggi, molto tempo dopo la chiusura degli ultimi interventi di restauro, la situazione torna ad essere critica: «Il punto è che non si riesce a lavorare ad una manutenzione accurata e costante, anche non straordinaria. Per intervenire si aspetta sempre che le situazioni siano irrimediabili. Per il lavoro di tutti i giorni non ci sono soldi. E non ci sono soldi perché di queste cose non importa niente a nessuno. Anzi, spesso la tutela del patrimonio è considerata un limite allo sviluppo». In un quadro di inquinamento pesante rimediabile soprattutto, aggiunge la Regina, attraverso «interventi di carattere urbanistico» come la riduzione del traffico automobilistico, sono tante le situazioni a rischio che richiedono interventi in tempi rapidissimi. E' il caso della colonna Troiana, con le sue decorazioni che rappresentano il racconto quasi cinematografico della campagna contro i Daci, ora transennata per proteggerla da chi ci lancia dentro rifiuti; della Colonna di Marco Aurelio in piazza Colonna che porta addosso già con evidenza i danneggiamenti degli agenti atmosferici; degli archi di Tito, di Costantino e di Settimio Severo, e persino del Colosseo i cui restauri proseguono a fatica. «Certamente negli ultimi anni intorno all'area archeologica centrale il traffico è stato dimolto ridotto. Ma non basta: su questi monumenti servono interventi entro il prossimo anno al più tardi», continua La Regina. In un quadro decisamente fosco, il soprintendente ricorda come proprio ieri sia stata presentata dai ministri Lunardi e Urbani la cosiddetta "legge del 3%" sulla base della quale nuove risorse potranno venire ai beni culturali e al patrimonio dei monumenti antichi con investimenti nei grandi progetti: nel caso di Roma potrà essere fonte di risorse la nuova linea della metropolitana C che solcherà il cuore dell'area archeologica tra il Foro romano e piazza Venezia. «Oltre agli scavi preliminari, indispensabili per individuare i punti adeguati alle entrate e alle uscite della metro, con le nuove risorse ricavate da questa grande opera si potrà rimettere in sesto il Palatino che è gravemente a rischio», conclude La Regina. Grazie al grido d'allarme del 1979 e agli studi che ne seguirono, si salvò dall'edificazione, per esempio, parte dell'Appia antica. Venticinque anni dopo rimangono — conclude La Regina — due principi imprescindibili da perseguire. Il primo è l'idea di Roma di Argan, secondo cui «la parte centrale della città va sgravata dalle funzioni insostenibili che devono essere ridistribuite su tutta l'area e sempre più concentrata su funzioni culturali: l'opposto di quello che sta avvenendo» e il secondo è «di non consumare ulteriormente i suoli della fascia suburbana che hanno mantenuto il tradizionale carattere agricolo, per salvaguardare ciò che resta del suburbio romano con l'effetto di indurre processi di autorisanamento nelle aree già urbanizzate e degradate della periferia». In sala, applausi e molta preoccupazione.

Francesca Giuliani - la Repubblica, Roma 15-APR-2004

 
"Lo stato divora i suoi tesori"
Süddeutsche Zeitung 3/2/2004
Il duello dell’Italia sulla vendita dei suoi beni culturali Mentre altri paesi riflettono su dove trovare mezzi finanziari per promuovere imprese culturali, l’Italia pensa a monetizzare una parte dei suoi beni culturali per sanare buchi di bilancio di altra pertinenza. Nel frattempo i fondi per la cultura rimangono ad un livello scandalosamente basso (0,33 % del recente bilancio statale). L’enorme patrimonio di beni culturali che rende l’Italia da questo punto di vista forse il paese più ricco al mondo – accanto a innumerevoli chiese e conventi si contano circa 40.000 rocche e castelli, 30.000 tenute, 4000 giardini storici, 2100 luoghi di scavo, 1000 centri storici di eccezionale importanza, una miriade di palazzi cittadini dei passati secoli e altro ancora – risveglia anche desideri di trasformare in moneta sonante questa ricchezza. E questo in un paese, che con molte misure protezionistiche, che risalgono al xv secolo, certo è diventato un modello internazionale per la tutela dei beni culturali. Con crescente raccapriccio l’opinione pubblica italiana segue un tetro duello tra due membri del governo romano. Da un lato sta il ministro dei beni culturali, Giuliano Urbani, che è d’ufficio responsabile della tutela dei beni culturali, dall’altro il ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti che vuole far risuonare la cassa. Questa è una lotta, che assomiglia alla gara tra la tartaruga e la lepre. Ogni volta che Urbani medita su misure di tutela, Tremonti dice: “Io sono già qui”. E’ stato così due anni fa, quando il ministro delle finanze faceva raccogliere di punto in bianco tutti i beni culturali di proprietà dello stato in una società per azioni, “Patrimonio dello Stato Spa”, appositamente fondata, che ebbe l’incarico di vendere tutto quanto fosse possibile. Ed è stato così un anno fa, quando ugualmente Tremonti tentò di mettere fuori gioco gli uffici preposti alla tutela monumentale che fino ad allora avevano l’ultima parola per quel che concerne una possibile alienazione di beni statali (un palazzo cittadino barocco si vende assai più facilmente di un casermone del dopoguerra)....(segue)
 
«Le basiliche assediate dall'incuria»
30 luglio 2003

"Le chiese e le basiliche fiorentine sono assediate dall'incuria, dal caos, dallo sporco, dalla microcriminalità, dalla volontà di snaturarne addirittura l'identità di luoghi di culto, per farne solo dei musei. E tutto, per colpa degli amministratori comunali fiorentini, guidati dal sindaco Leonardo Domenici che, oltre tutto, è anche presidente dell'Anci, l'associazione dei comuni italiani. La crociata. Questa, almeno, la convinzione dell'Arcidiocesi di Firenze. O, più esattamente, di monsignor Timothy Verdon, canonico della cattedrale di Santa Maria del Fiore, il duomo, e, con lui, dei priori, dei rettori e dei guardiani delle principali chiese e basiliche fiorentine. Un'accusa del genere, e con questi toni, non si era mai sentita sulle rive dell'Arno, tant'è che ce n'è abbastanza per far scoppiare un «caso» tra Palazzo Vecchio e le stanze di fronte al Battistero, che ospitano l'arcivescovo Ennio Antonelli (probabile cardinale al prossimo concistoro, viste le prerogative della città), che ha dato il suo placet alle esternazioni dei priori e di monsignor Verdon, americano di nascita e fiorentino di adozione spirituale e di vita. Così, almeno, ha detto, iniziando la sua requisitoria, Timothy Verdon: «L'arcivescovo mi ha incoraggiato a portare avanti questa piccola crociata. Ma le chiese e le basiliche di Firenze sono umiliate da caos, criminalità e sporcizia. Una mancanza che è un'offesa alle radici cristiane della città. E questa città che ha creato l'ideale massimo dell'Umanesimo, come fa a smontare cosi il suo passato?». Monsignor Verdon non ha fatto complimenti: «L'arengario di fronte a Palazzo Vecchio è mantenuto con grande rispetto. Perché non succede lo stesso con i sagrati delle nostre chiese?». A dargli man forte sono arrivate le parole del priore di Santa Maria Novella: problemi di ordine pubblico di notte e di giorno, coi bivacchi di centinaia di persone; mancanza assoluta di servizi igienici, con i muri esterni della chiesa trasformati in latrina. La controffensiva. Poi le accuse del padre guardiano di Santa Croce, la basilica dei Sepolcri: borseggi anche in chiesa; un «progetto occulto per laicizzare, per far dimenticare che le chiese sono anche luoghi di culto», E di chi la colpa? Ancora una volta, dita puntate sul Comune. A metà pomeriggio, quando le prime note di agenzia avevano già preso il volo, Palazzo Vecchio è passato al contrattacco. Il sindaco ha preferito non intervenire, lasciando la replica all'assessore alla cultura, Simone Siliani e a quello allo sviluppo economico, Francesco Colonna. Ma c'è stata anche incredulità, all'inizio. Poi, i comunicati. Vero o falso il quadro fatto dai preti? Accuse da rispedire al mittente, ha tuonato Palazzo Vecchio: «I toni e i contenuti della nota dell'Arcidiocesi...sono davvero inusuali fuori misura e per certi versi offensivi...». I problemi, alcuni problemi, riconosce l'amministrazione possono anche esserci, ma non in questi termini. La miccia è stata accesa. La polemica non finirà certamente qui.

Ennio Macconi Nazione – Carlino

 
"Quei vandali con la vernice"
Giugno 2003
 

Ogni notte, una moltitudine di cultori della vernice pazza imbratta gli edifici delle nostre città e scompare nella quasi certezza dell'impunità. Neanche si salvano i monumenti storici, come ripete sorpreso lo straniero affezionato al tour estivo in Italia. Dovunque il viaggiatore vede quegli sgorbi detti benignamente graffiti, che le nostre amministrazioni pubbliche tollerano ancora o forse non vedono più. Prevale quell'incuria, lassista o permissivista, che subisce i «vandali in casa» come un fenomeno insopprimibile. Ma le stesse norme legislative sulla tutela ambientale risultano inadeguate a fronteggiare le torme dei ludici bombolisti, decisi a perseverare nelle loro scorrerie notturne. Chi difende i prospetti architettonici, almeno quelli antichi, e chi «le mura e gli archi»? Dieci anni fa, un disegno di legge approvato dal governo Ciampi e trasmesso al Parlamento aveva tentato d'aggiornare le difese contro i danni da vernici nebulizzate. Si trattava di risparmiare, oltre tutto, i tanti miliardi profusi ogni anno per i restauri. Si doveva punire in genere per «danno ambientale» chiunque deturpa gli edifici,, con sanzioni aggravate contro chi danneggia «cose di particolare interesse artistico e storico». Era previsto per l'industria chimica l'obbligo di segnalare sui nebulizzatori gli elementi della composizione, oltreché accludere dettagliate schede sui prodotti utili alla rimozione del colore. Nelle nuove confezioni distribuite sul mercato, doveva, escludersi ogni sostanza corrosiva delle superfici lapidee. Un'altra norma tendeva poi a limitare il commercio delle vernici spray al piccolo dettaglio, senza penalizzarne gli usi professionali e industriali. Al disegno di legge avevano collaborato con pazienti ricerche l'Istituto centrale del restauro, l'Opificio delle pietre dure, l'Università di Roma e sei ministeri. Un lavoro vanificato. Non se n'è fatto niente. Lo scempio vandalico si cronicizza. Le norme vigenti non rispondono alla necessità di rigore prevista in quel disegno di legge, mentre nel costume amministrativo dominano insieme inefficienza e indulgenza. Il fidecommesso, l'obbligo di trasmettere ai discendenti l'eredità ricevuta, è un essenziale principio etico prima che giuridico, ma troppi lo ignorano in particolare nella pubblica tutela dei beni architettonici. Sarebbe logico, mentre si cerca di valorizzare il complesso patrimonio dei musei, tutelare quei «musei a ciclo aperto» che sono i nostri centri storici urbani. Ogni sindaco, beninteso, può rispondere che non si potranno mai custodire le antiche piazze come i musei. Ma nelle amministrazioni locali è anche latente, o persino evidente, un pregiudizio favorevole alla «fruizione» sconsiderata della città «vissuta» purchessia e agli esuberanti attivisti delle vernici. Sarebbero in causa forme di vitalità in cerca d'espressione creativa o contestativa, sfoghi di animi travagliati e repressi, messaggi d'un malessere generazionale. Il giustificazionismo sociologico, e anche demagogico, sa comprendere qualsiasi spontaneismo in voga. Da parte loro, col conforto della diffusa clemenza, i maniaci dediti agli sgorbi murali come ammissibili benché invasive provocazioni non sanno valutare, o neanche vogliono considerare, i danni al patrimonio di tutti. Dunque rimane vasto il fenomeno d'una «ignoranza attiva», che non incontra serie sanzioni o dissuasioni.

Alberto Ronchey - Corriere della Sera 20/6/2003

 
"Città belle ma sporche"
Maggio 2003
 

Città italiane, curarle di più. Non è solo in questione "l'emergenza rifiuti" a Napoli, o l'ecomafia delle discariche. Ben oltre quei casi a sé, gli stranieri che scendono in Italia con la stagione delle vacanze commentano: "Città belle, ma sporche". Lo scrivono ai loro giornali, anche se pressoché dovunque le metropoli congestionate presentano sgradevoli scenari oltre ai guasti del pervasivo inquinamento. Altri visitatori della penisola, studiosi d'arte o scrittori, dedicano particolari attenzioni ai monumenti storici, quel complesso che i francesi chiamano patrìmoine e gli inglesi national heritage, segnalando l'incuria delle amministrazioni locali. "Eppure - ci ripetono - tante antiche piazze delle vostre città sono musei a cielo aperto". Esempio, lo scarso rispetto con il quale viene trattata piazza Navona tra Bernini e Borromini sopra i resti dello Stadio di Domiziano, inconcepibile per Place Vendôme a Parigi. Ma sulla decorosa tutela dei centri storici, e sul concetto stesso di decoro, i pareri divergono da tempo tra fautori della permissività e della severità. Basta ricordare le strenue dispute sugli usi di piazza San Marco a Venezia, dell'Arena di Verona, delle Terme di Caracalla, di piazza Sordello a Mantova o dei Loggiati degli Uffizi a Firenze. Chi vuole i luoghi celebri "vissuti" malgrado qualsiasi abuso, chi li vorrebbe invece "rispettati". Non potrebbero essere, insieme, vissuti e rispettati? Ma c'è di più, in tema di lassismo. Quanto costano i restauri sui marmi dei palazzi storici deturpati per gioco vandalico dalle vernici "spray", vantate come indelebili, che penetrano a fondo nelle antiche pietre? I giustificazionisti considerano simili sfregi come graffiti moderni, magari paragonabili a quelli pompeiani anziché a quelli della metropolitana di New York. Ma in massima parte risultano pretenziosi o demenziali sgorbi, a volte sfoghi dei fanatismi parapolitici e parasportivi, altre volte anonimi messaggi personali d'indole infantile. Se anche fossero classici graffiti firmati da Isso e Astilo redivivi, sarebbero anacronistici oltreché corrosivi sulle pietre antiche, mentre già recano danni costosi alle abitazioni, ai treni e agli autobus. Ma contro lo scempio, non opera un'efficace legge "antispray". Vincono i ludici bombolisti. E sulle disgrazie della vita urbana c'è ancora di più. L'estate, in queste città, è anche la stagione dell'inquinamento acustico notturno, senza centraline che possano misurarlo. Domina infatti la mania sagraiola delle radunate canore in piazza, spesso con impegno delle amministrazioni locali a favore dei bisognosi d'emozioni collettive, ma contro tutti gli altri che vogliono e devono dormire. A nulla valgono le suppliche, o proteste, con raccolte di firme. Dunque, ossessivi echi di voci e ritmiche percussioni, aggressivi suoni tecno, frastuoni propagati da potenti basi elettroniche. Non è deprecabile, s'intende, un concerto straordinario come quello recente di Paul McCartney ai Fori, ma lo strepito di ogni notte. All'aperto, non solo nelle discoteche e neanche nei parchi, ma fra le abitazioni. Si potrà obiettare che la città, in se stessa, è rumorosa. Ma senza limiti né misura? Si può anche ricordare che proteste contro i fragori notturni risalgono ai tempi antichi. Già nell'urbe giovenaliana, tIra un milione di cittadini romani e trasmigrati persiani, egizi, pannonici, siriaci, Decimo Giunio denunciava clamori che "anche a un druso, a un leone marino toglierebbero il sonno". Ma non aveva udito ancora niente.

Alberto Ronchey - Corriere della Sera 16/5/2003

 
"Monumenti in questo stato"
Maggio 2003

Non si possono ridurre i monumenti in questo stato. Un celebre film di John Landis s'intitola 'Tutto in una notte". Prendendo spunto dalla celebre pellicola del cineasta americano, i supporters della Sampdoria, nell'arco appunto della nottata tra sabato e domenica, non solo hanno trovato il tempo di festeggiare il ritorno in serie A, ma anche quello di ridurre piazza De Ferrari e dintorni in un graffito dalle tinte blucerchiate. 1 tifosi hanno lasciato il loro segno con le bombolette spray colorate sui muri di Palazzo Ducale, sui porticati dell'Accademia Ligustica e del Carlo Felice, e su tutti gli edifici che si affacciano su piazza De Ferrari. "Un vero scempio - ha detto senza mezzi termini Umberto Moretti, tifoso genoano - e lo dico anche se a fare questo fossero stati i tifosi genoani. Non si può ridurre una città così". Gli fa eco Adriana Bronzi che osserva che "i danni recati agli edifici ricordano un po' quelli del G8. Sarebbe stato più bello contenersi". Facce stupite anche tra i turisti. Michelle e Lucien Morniet, aggirandosi tra cocci di bottiglie e scritte sulla pavimentazione, hanno precisato che "in Francia, per festeggiare la nazionale campione del Mondo e d'Europa, nessuno aveva osato toccare i monumenti". Tra gli scalmanati c'è anche chi ha avuto l'idea di gettare un water, opportunamente dipinto di rossoblù, dentro la fontana di piazza De Ferrari. Risultato? L'impatto ha piegato alcune tubature dei getti d'acqua, ed i cocci, sommati a reggiseni, mutande, bicchieri, trombette e quant'altro, sono andati ad ostruire gli scarichi. Lavoro dunque per la ditta Isir, che ora dovrà svuotare la vasca, pulire e forse cambiare alcuni filtri. Tra i più arrabbiati, i commercianti della zona, che si sono trovati le serrande dipinte ed ammaccate. "A me hanno addirittura urinato sopra la porta", ha fatto notare Grazia Lisi commessa dell'Europarfums dal Carlo Felice. Mentre Fabrizio, barman del Bar dell'Accademia, si è visto saccheggiare il gelato dal frigo dei dessert e finire in pezzi i vasi dei fiori. "Stupita degli eccessi di un tifo maleducato" anche Margherita, titolare dell'edicola di fronte al Carlo Felice.

Giuseppe D'Amico - Il Secolo XIX 20/5/2003

 
Firenze: la denuncia del Soprintendente
Aprile 2003
Possiamo salutare questo come un segnale del nuovo corso storico della Firenze del nuovo millennio. Un sintomo affatto nuovo nella cultura della tutela del patrimonio fiorentino. Il soprintendente ai beni architettonici si accorge dell'evidenza che accompagna la città da decenni. Riconosciamo il merito al nuovo soprintendente che è stato in grado di invertire la tendenza che ha caratterizzato il "pressapochismo" e spesso la negligenza dei passati funzionari di piazza Pitti 1 che non hanno mai avuto il coraggio ne tantomeno la deontologia professionale di garantire i mini criteri di tutela riconosciuti da tempo nelle carte del restauro.
 
"Basta rifiuti.. "
"Basta rifiuti intorno ai monumenti, via i barboni dai loggiati delle chiese, basta parabole e antenne che deturpano il paesaggio: sono i tre cardini della nuova ''crociata'' lanciata da Domenico Valentino soprintendente per i beni architettonici di Firenze. L' attacco di Valentino nasce da alcune situazioni che vanno avanti da tempo e a cui il Comune non riesce a dare soluzione. A convivere con i rifiuti e' Orsanmichele, la chiesa museo a due passi da Piazza della Signoria. ''Tutti i pomeriggi i mezzi della nettezza urbana si radunano in via dell' arte della lana, davanti a Orsanmichele, e dai furgoni piccoli i rifiuti passano nel camion piu' grande. Il tutto avviene con i motori accessi che emettono gas di scarico molto dannosi per i monumenti. Il passaggio dei rifiuti - spiega Valentino - avviene in questa via perche' non disturba i negozianti. Ho parlato con gli assessori di Palazzo Vecchio chiedendo che si cambi metodo, ma niente accade''. Gli fa eco la direttrice di Orsanmichele, Francesca Nannelli: ''Caricano li' perche' davanti ai negozi creerebbero problemi, ma i commercianti devono pensare che i turisti vengono a Firenze per i monumenti e quando questi non ci saranno piu' sara' peggio anche per loro''. Dai rifiuti alle antenne e alle parabole. Stamani Valentino ha incontrato alcuni rappresentanti di Palazzo Vecchio. Avrebbe preferito ci fossero gli assessori anziche' i tecnici, ecco perche' il soprintendente dice che l' ''incontro e' stato quasi abortito''. Ma Valentino fara' comunque sapere al Comune le sue idee: ''Parabole trasparenti o del colore delle tegole dei tetti e possibilmente piu' piccole (30-35 cm); cercare di arrivare - magari con incentivi - nei grandi condomini ad avere una antenna e una parabola centralizzata; piu' attenzione al collocamento dei ripetitori per i cellulari''. Lo sfogo di Valentino termina con il rilancio dell' idea di montare cancellate a difesa di luoghi artistici, anche per impedire ai barboni di prendere domicilio sotto i loggiati delle chiese. ''Voglio le cancellate - ha detto - perche' nessuno vigila. La loggia della chiesa di Borgo San Jacopo, a due passi da Ponte Vecchio e' diventata la casa di un uomo che addirittura stende abiti e bucato. In questo caso la soluzione sembra in arrivo perche' mi hanno detto che la cancellata la metteranno. E poi c'e' la chiesa di Santa Maria dei Ricci il cui ingresso e' tappezzato da cartelloni e manifesti: e' indegno''. Insomma, per il soprintendente Valentino a Firenze c'e' ''scarsa attenzione per i monumenti''. (ANSA). 03/04/2003
 

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