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            | A 
                Forte Procolo solo sporcizia |   |  
                12/03/2006 |   
            | "L'asciato 
                all’abbandono si è ormai trasformato in rifugio di clandestini 
                L’appello di un cittadino a Comune e Demanio. E parte una raccolta 
                di firme I cittadini vogliono farne uno spazio per iniziative 
                L’intera zona è popolata da baracche di sbandati Sporcizia e degrado 
                a Forte Procolo. La struttura militare asburgica 
                al centro del quartiere Navigatori è diventata alloggio di clandestini. 
                A denunciarlo è un residente, Andrea Bocchin, che stanco di dover 
                fare i conti con continui atti di microcriminalità, quali furti 
                di biciclette, motorini e piccoli «colpi» anche nelle abitazioni, 
                ha dato il via ad una raccolta di firme e ad una lunga lista di 
                lettere alle autorità cittadine. «Tutta l’area attorno a Forte 
                Procolo è terra di nessuno», spiega Bocchin, «è stata lasciata 
                nell’incuria da anni e quel che è grave è che si trova nel mezzo 
                di numerose abitazioni. Vi regnano sporcizia e insalubrità». Bocchin 
                assicura che all’interno della zona, che è di proprietà del demanio 
                militare, ci sono diverse baracche dove i clandestini trovano 
                riparo. «Ho avvisato la questura», spiega, «che si è subito attivata. 
                Ma, come sempre, le pattuglie passano e i clandestini poco dopo 
                tornano. Purtroppo la situazione è grave in quanto i numerosi 
                sbandati che vi trovano rifugio minano quotidianamente il quieto 
                vivere di chi è residente nel quartiere». Non trovando un’adeguata 
                risposta alle proprie sollecitazioni, Bocchin non ha esitato a 
                rivolgersi direttamente al reparto infrastrutture dell’ufficio 
                demanio e servitù militari chiedendo esplicitamente «il ripristino 
                della recinzione e il disboscamento» dell’area. Non solo, ha chiesto 
                anche che l’area venga concessa per attività pubbliche e di aggregazione. 
                La risposta da parte del reparto infrastrutture non si è fatta 
                attendere ed è emerso che l’opera militare rientra in quelli che 
                sono da considerarsi beni alinenabili, vale a dire in vendita. 
                «Il nostro quartiere», sottolinea Bocchin, «è sempre stato caratterizzato 
                da insediamenti militari come l’ex caserma Martini che si affaccia 
                su viale Colombo, il poligono di tiro. È un peccato perdere un 
                valore così importante come Forte Procolo». Del resto Forte 
                San Procolo, questo è il suo nome originale, risale al 1840, è 
                tra le opere di fortificazione più significative della città realizzate 
                dall’impero asburgico. Faceva parte del cosiddetto piano di 
                riequilibrio delle forze austriache nel Veneto, assieme ad altre 
                strutture quali le torri San Giuliano, il forte San Giorgio. Completava 
                la difesa a destra dell’Adige. Era presidiato da 230 fanti ma 
                in emergenza poteva ospitare 438 uomini. Attualmente le mura sono 
                quasi integralmente conservate e questo ultimo dato ha permesso 
                a Bocchin, che tra l’altro è architetto, di lanciare una proposta 
                che se verrà accolta potrà finalmente offrire alla città uno spazio 
                ricreativo-culturale. «Riportare questa struttura ad un livello 
                di civiltà ed ospitalità è cosa dovuta», premette Bocchin, «se 
                non altro per il valore storico culturale che ha di per sè il 
                forte. Ricordo che in questo spazio militare in epoca fascista 
                venne fucilato Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Di conseguenza 
                rientra in un pezzo della nostra storia contemporanea». «Se il 
                Comune e gli altri enti raggiungeranno un intesa con il demanio», 
                propone, «noi cittadini del quartiere potremmo gestire questi 
                spazi proponendo manifestazioni culturali, musicali. Giovani ed 
                anziani del quartiere non hanno molte aree a loro disposizione. 
                Restituire vitalità a questo spazio urbano significa dare la possibilità 
                ai cittadini di rendersi utili, non solo di vivere sicuri senza 
                l’assillo che qualcuno gli entri in casa o gli porti via da sotto 
                il naso la bicicletta». Anna 
Zegarelli Domenica 12 Marzo 2006 L'Arena |   |  |   |  |   
            | Sos 
                polveri, monumenti in pericolo |   |  
                28/02/2006 |   
| "Si 
depositano dappertutto. Sporcano e inquinano. Ma alcune polveri - sottili, e non 
solo - sui marmi antichi fanno di peggio. Trasformano chimicamente la natura di 
quelle pietre. Come quelle, un tempo candide, che ricoprono la piramide Cestia. 
O il marmo dell'ormai "carbonizzato" Mosè di largo Santa Susanna. Fino al travertino 
del Palazzaccio, che ha già perso lo smalto del recente restauro. L'allarme polveri 
verrà lanciato oggi aldurante la giornata organizzata dall'Istituto centrale del 
restauro e dall'Agenzia protezione ambiente. Il ministero Beni culturali e quello 
dell'Ambiente illustreranno i risultati di una ricerca sull'incidenza delle polveri 
sui monumenti di Roma e Milano. Nella Capitale le cose vanno meglio. E vanno meglio 
anche rispetto al passato di Roma. Grazie al calo dei gas (diminuiti sono i casi 
di solfatazione, i marmi che si sfarinano come gesso). Eppure rimane il grave 
problema delle polveri. Che anneriscono statue e palazzi. E che, spesso, mutano 
e minano l'integrità dellepie tre. Non solo un problema estetico, ma strutturale, 
vitale.." La 
Repubblica (Roma) 28/02/2006 |   |  |   |  |   
            | II 
                centro è sempre più una baraccopoli di plastica 
             |   |  
                01/02/2006 |   
| Intervista 
a Pier Luigi Cervellati:  "All'aperto 
non dovrebbero esserci nemmeno i vasi dei fiori". 
"Uno schiaffo all'arredo urbano con pedane rialzate e brutte coperture" «MI devono 
spiegare perché se uno tinteggia la casa di un colore 
diverso da quelli consentiti o se modifica una finestra di qualche centimetro 
prende la multa e uno che realizza una vera e propria struttura in strada possa 
tranquillamente essere autorizzato» si interroga Pierluigi Cervellati 
(nella foto a destra), architetto di fama ed ex assessore all'Urbanistica del 
Comune. Una differenza di trattamento piuttosto evidente e curiosa... «Non c'è 
dubbio. Oltretutto qui si sta realizzando una sorta di baraccopoli di plastica 
e ferrovetro, corredata di altri elementi negativi sul piano dell'arredo urbano 
come pedane rialzate, coperture di dubbio gusto, perimetri di fioriere di plastica 
che, se diventano stabili tutto l'anno, si trasformano, appunto, in baraccopoli». 
Cosa si dovrebbe fare, allora? «All'aperto non ci dovrebbero essere strutture, 
nemmeno i vasi dei fiori per delimitare gli spazi perché danno l'idea del degrado 
crescente. Qui non si tratta di fare un patto con la sovrintendenza, ma della 
necessità di un governo pubblico della città». Lei ritiene che in centro si 
debbano sfrattare i 'dehors' dappertutto o ci sono posti in cui sono tollerabili 
strutture, magari più esili? «In linea generale, in centro, come ho detto, sono 
contrario alle strutture. Poi ci sono posti e posti. In alcuni non dovrebbe esserci 
assolutamente nulla, come in piazza Maggiore, per esempio. In altri si può discutere 
di occupazioni temporanee. Sono contrario, per fare un altro esempio, all'occupazione 
dei portici: secondo me, lì non dovrebbe esserci nulla». Il Comune e la sovrintendenza 
cosa dovrebbero fare? «Si dovrebbe giungere a un disegno pubblico di razionalizzazione 
degli spazi e quindi istituire dei parametri formali coi quali giudicare se una 
proposta è fattibile o incompatibile col contesto. Ripeto, non un patto Comune-sovrintendenza, 
ma un progetto ben fatto che tenda a eliminare le strutture permanenti e a 
definire i requisiti ai quali i 'dehors' dovranno attenersi». Lei, quindi, 
è per togliere tutto quello che voi tecnici chiamate «superfetazioni»? «Ma è ovvio. 
Perché viene punita una modifica al primo piano e non una al piano strada? Oltretutto 
mi sto accorgendo che le 'verande' costruite a Bologna, tra tutte quelle che ho 
visto in giro, sono le più brutte. Certe aggiunte sulla strada sembrano degli 
autobus doppi parcheggiati a ridosso degli edifici storici. Inoltre, da una parte 
si fa di tutto per togliere le auto dalle strade del centro e poi si consente 
a queste cose di proliferare e prendere il loro posto che è anche peggio. Andando 
avanti di questo passo la città si riempirebbe di 'dehors' e cambierebbe il suo 
volto». La 
Repubblica – Bologna Cronaca, 1 feb. 2006 |   |  |   
            | A 
                spasso per Firenze |   |  
                19/01/2006 |   
| "Un 
girone così non l'ho immaginato neppure io». Forse questa sarebbe la frase che 
direbbe Dante dopo aver rivisto la 'sua' Firenze. Atterrando al piazzale del Poggio 
Imperiale, di fronte alla villa medicea, ammirerebbe la facciata cinquecentesca. 
Peccato, però, il rischio potrebbe essere quello di inciampare nei cassonetti 
"irremovibili". Ma Dante non è tipo che si arrende. Armato di elmetto, non si 
sa mai visto che dal Bargello e non solo cadono pezzi di cornicione, il nostro 
fantomatico poeta prosegue il suo tour. Il fascino del centro lo spinge a inoltrarsi 
nei vicoli medievali della città. Ed ecco alzarsi il sipario sullo show: cassonetti 
straripanti di spazzatura, cartacce ovunque, file di bottigliette abbandonate, 
escrementi di cavallo tra cui fare lo slalom. La nostra guida va avanti sgomitando 
tra orde di turisti 'incantati' di fronte ai mimi che assediano il loggiato degli 
Uffizi. Una bella foto ricordo con il Faraone all'angolo di via della Ninna e 
si riparte. Più che il loggiato del Vasari sembra la Rambla di Barcellona. Stessa 
scena in piazza Duomo tra scarichi di autobus, transenne e impalcature. Cerchiamo 
un po' di pace in piazza Santa Maria Novella. Qui più che Firenze sembra una succursale 
delle Filippine, specialmente il giovedì pomeriggio. E tra il pratino e il vicino 
sottopassaggio della stazione si cammina su un tappeto di bottiglie di birra. 
Perfino la lussuosa via Tornabuoni, la sera, è assediata dai sacchetti della nettezza. 
Il maestro rimpiange le sue bolge. Quelle, in definitiva, sono solo infernali. 
Le strade, per il continuo passaggio di auto e bus, sembrano un formaggio gniviera: 
buchi ovunque. Dove sono finiti i lastricati di pietra serena? Le domande arrovellano 
il 'nostro cervellone' che inciampa nelle transenne arrugginite piazzate sull'ennesimo 
cantiere. Le domande non finiscono. Perché l'ex cinema Apollo è ridotto in quello 
stato di degrado e abbandono? Disorientato, il maestro chiede lumi. La risposta 
non lascia spazio a dubbi: «Bisognerebbe non avere più vista, udito e olfatto 
per non accorgersi del degrado imperante. La sporcizia, oltre alla vista inquina 
anche l'olfatto». Sottobraccio al 'maestro' ci inoltriamo nel vicolo del Gomitolo 
d'Oro. Cos'è quest'odore? Esalazioni della palude Stigia? No, un cartello chiarisce: 
«Si prega di non urinare», ripetuto in arabo e in inglese. Di corsa ce ne andiamo 
e finiamo in piazza Brunelleschi. Il muro che fiancheggia l'Università è imbrattato 
da sfregi, croci celtiche, falci e martello, da murales non sempre artistici. 
Per fortuna ci siamo capitati di giorno. Di notte bisogna anche guardarsi alle 
spalle. Dante, scuote la testa e, stremato, se ne torna nel tranquillo avello 
di Ravenna. Insomma, non sempre l'esilio è il male peggiore. Non possiamo dargli 
torto." LA 
NAZIONE FIRENZE 19-GEN-2006 |   |  |   
            | La 
            bellezza soffocata dallo smog  |   |  
                26/10/2005 |   
| "L’allarme 
lanciato da Legambiente a proposito delle condizioni di degrado in cui versano, 
a causa dell'inquinamento, i monumenti lungo il Cassaro pone l'accento su due 
questioni centrali, connesse e sinora irrisolte, relative alla tutela e alla valorizzazione 
del patrimonio urbano: la necessità di pensare i singoli interventi di recupero 
e restauro in un'ottica progettuale unitaria anziché isolatamente per singoli 
tasselli, e di elaborare una strategia che tenga conto dell'equilibrio non facile 
tra le esigenze della conservazione dei brani della città antica da un lato e, 
dall'altro, delle funzioni economiche e residenziali di cui nessuna parte di città 
può prescindere. Questioni complesse che hanno alimentato per anni il dibattito 
sui centri storici, e che a Palermo sono rimaste quasi sempre lettera morta, affidate 
a iniziative estemporanee senza prevedere un processo di ridisegno graduale e 
ormai comunque improcrastinabile dei meccanismi di funzionamento della città. 
Col risultato, sotto gli occhi di tutti, di una rinuncia di fatto a controllare 
le cause del degrado ambientale, e lasciando alla mercé dei gas di scarico statue, 
decori, facciate di chiese e palazzi. Il caso di corso Vittorio Emanuele ma anche 
di via Maqueda è tanto più eclatante in quanto investe il fulcro monumentale e 
simbolico della città: la grande croce di strade che segna i confini dei quattro 
mandamenti del centro antico sulle cui direttrici si è andata sedimentando la 
sua storia urbana, l'audace piano di riconfigurazione degli antichi quartieri 
attuato attraverso il doppio prolungamento e la rettifica del Cassaro tra il l567 
e il l581, e il taglio della Strada Nuova a partire dal 1600. Una successione 
di architetture — dalla Cattedrale a piazza Bologna a San Giuseppe dei Teatini, 
dal complesso di piazze che dispone come un succedersi di quinte teatrali piazza 
Pretoria, Santa Maria dell'Ammiraglio e San Cataldo ai grandi palazzi aristocratici 
settecenteschi — che dovrebbe avere per Palermo la stessa centralità che ha per 
Firenze l'asse che da piazza del Duomo conduce a piazza della Signoria, e che 
invece rimane pressoché invisibile: occultato dall'incessante fiumana di automobili 
il magnifico cannocchiale prospettico che conduce da Porta Felice a Porta Nuova, 
mortificata dalla sporcizia accumulata giorno per giorno la sontuosa cortina architettonica 
di palazzi nobiliari, occupata dai parcheggi selvaggi la sequenza dei piani rinascimentali 
e barocchi, lo spazio in cui fu convogliato lo sfarzo della città capitale soffoca 
e agonizza. Lo stato in cui versano oggi i Quattro Canti è forse l'esempio più 
evidente dei danni prodotti dall'assenza di una politica unitaria di tutela: appena 
pochi ani fa, il restauro aveva restituito la partitura delicata delle cromie 
della pietra e dei marmi, una variazione di bianchi e ocre oggi nuovamente annerita 
e bisognosa di un nuovo intervento; anche se, perla materia di cui ogni architettura 
è composta, ogni restauro rappresenta sempre un piccolo trauma, e le operazioni 
di pulitura non possono di conseguenza ripetersi di continuo. Una sorte simile 
attende, se non interverranno mutamenti capaci di rimuovere le cause del degrado, 
le statue ancora candide della Fontana Pretoria, la scena dell'Annunciazione e 
l'albero della vita che ornano il timpano del portico meridionale della Cattedrale, 
e la facciata dell'Oratorio del Santissimo Salvatore, dove, a restauro quasi ultimato, 
dalle impalcature occhieggia il ritrovato giallo paglierino della pietra anziché 
la densa superficie nera che avevamo conosciuto da sempre. Non vi è dubbio che 
la situazione è stata aggravata dalle decisione dell'attuale amministrazione di 
riaprire indiscriminatamente al traffico la via Maqueda, dopo che la relativa 
isola pedonale con l'apertura ai soli autobus di linea e ai veicoli delle forze 
dell'ordine e delle ambulanze aveva garantito una riduzione sensibile delle emissioni 
di gas di scarico delle automobili, le più nocive e corrosive. Una soluzione controversa 
quella adottata dalla precedente giunta, senza dubbio parziale e imperfetta, ma 
almeno un primo passo nella direzione giusta; abolita in nome della sicurezza 
dei pedoni, fu detto, in attesa di un piano traffico annunciato inizialmente tra 
le priorità e invece subito rimosso, che ha ridotto via Maqueda (ma lo stesso 
vale per corso Vittorio Emanuele) al collasso: con auto parcheggiate sui marciapiedi 
e in doppia fila ad ogni ora del giorno, operazioni di scarico delle merci effettuate 
in barba a qualsiasi ordinanza regolatrice, e i pedoni costretti a uno slalom 
(questo sì) pericoloso, per non dire di chi è costretto ad avventurarsi per la 
strada con bambini al seguito o su sedia a rotella. Nella città antica i diritti 
sono dei fuoristrada, non dei più deboli. I provvedimenti da prendere sarebbero 
almeno nel breve periodo impopolari probabilmente per gli automobilisti, certamente 
peri commercianti, e dovrebbero avere come approdo finale (ma in tempi certi) 
la pedonalizzazione delle due strade sull'esempio di quanto avviene in molte altre 
città italiane ed europee in aree della stessa estensione, prevedendo dissuasori 
a scomparsa per permettere l'accesso ai residenti, parcheggi vicini all'area pedonale, 
servizi continui di minibus elettrici; senza che il commercio ne soffra, anzi: 
perché una dimensione urbana diversamente ordinata e vivibile è al contrario la 
premessa per la riqualificazione commerciale dell'intera zona. Altrimenti, rassegniamoci 
alla progressiva e implacabile rovina dei monumenti simbolo della nostra storia. 
e  SERGIO 
TROISI 26/10/2005, La Repubblica, Palermo  |   |  |   
            | Incuria 
                e degrado in piazza |   |  
                3/10/2005 |   
| "Comune 
ed Hera maltrattano la “sua” piazza e l’architetto Sandro Volta protesta. Nei 
giorni scorsi il professionista milanese ha inviato una lettera piccata e poco 
tenera a sindaco e assessori, elencando tutto ciò che non gli piace del modo in 
cui piazza Tre Martiri e dintorni vengono usati. “Manca una politica complessiva 
nella gestione del centro storico - attacca - e a farne le spese è non solo una 
piazza pensata e realizzata per essere una riqualificazione, ma l’intera isola 
pedonale”.Il punto di partenza è proprio la destinazione “pedonale” della piazza. 
“Posso arrivare a capire i residenti - tuona l’architetto - ma tutto quel via 
vai di camion, furgoni, treni e trenini proprio non lo digerisco. Il risultato 
finale può piacere o meno, ma quel lavoro ha ridato alla città la sua isola pedonale 
nel centro storico e tale dovrebbe rimanere. Sento spesso parecchie lamentele 
su questo punto anche dai commercianti ma non vedo cambiamenti nella gestione 
da parte dell’amministrazione. In molte città, compresa Milano, i camion vengono 
lasciati nei parcheggi attorno al centro e il materiale trasportato con i carrelli: 
non è mai morto nessuno. Oppure si fissano orari rigidi per le consegne e si fanno 
rispettare”.Bocciata da Volta anche l’ipotesi di ritorno dei mezzi pubblici. “È 
una cosa da matti. Se uno va all’Iper di Savignano può capitare anche di lasciare 
la macchina in un parcheggio a 300 metri, ma la stessa persona non è disposta 
a fare 150 metri in centro”Ma è verso Hera che l’architetto rivolge le parole 
più dure. “Penso non stia rispettando in pieno l’appalto di manutenzione ricevuto 
dal Comune. I lavori vengono fatti male e senza criterio. Quando, ad esempio, 
ci sono delle spaccature nella pavimentazione, anzichè sostituire la piastra danneggiata 
chiudono il buco con il cemento, c’è una panchina all’inizio di via IV Novembre 
che ancora non è stata riparata, altre due mancano di fronte all’edicola di piazza 
Tre Martiri. Vanno meglio segnalate anche le asole con i resti archeologici, altrimenti 
diventano grossi bidoni dell’immondizia a cielo aperto”.Il problema, conclude 
Volta, “è che, se è l’amministrazione comunale a non tutelare per prima i propri 
beni, non ci si può aspettare che lo facciano gli altri”. Corriere 
della Romagna, 3 ottobre 2005  |   |  |   
            | Lo 
                scempio dei tempietti romani |   |  
                27/6/2005 |   
| "Vetri 
rotti, sporcizia diffusa, scritte sulle mura millenarie Doveva essere il biglietto 
da visita di Chieti e invece il sito archeologico è una vergogna Scritte spray 
e sporcizia nei tempietti romani il simbolo dell'incuria CHIETI. Ad una prima 
occhiata si notano il cancelletto divelto e i faretti sradicati. Segni di vandalismo 
che si aggiungono a vetri rotti e cartacce, mozziconi sparsi e ogni genere di 
sporcizia. Uno scenario già raccapricciante per una periferia. Figuriamoci per 
i tempietti romani che, in pieno centro storico nella città ultramillenaria, sono 
una parte importante di ciò che resta di un passato irripetibile. L'originario 
tempio italico, il pozzo votivo di epoca marrucina, il podio che sostiene i templi 
gemelli voluti da Marco Vezio Marcello e due costruzioni più semplici Oltre duemila 
anni di storia che, recuperati con una poderosa opera di riqualificazione, avrebbero 
dovuto inaugurare la "rinascita culturale" della città che cronologicamente si 
colloca prima della capitale. Avrebbero dovuto essere il centro vitale di un parco 
archeologico esteso dalla Civitella alle cisterne sotterranee di piazza Valignani 
Invece, ricettacolo di sporcizia e incuria, i tempietti sono oggi luogo di incontro 
per ra-gazzini alle prese con la prima sigaretta, studenti parcheggiati sul ponticello 
di vetro e vandali ignoti che, a cadenze irregolari, si divertono a deturpare 
il patrimonio collettivo. Nel giardino cartacce, fogli di giornali e cartoni di 
ogni dimensione. Anche i pavimenti - risistemati con tavolette di legno scuro 
- non sono più calpestabili Pezzi di plastica accumulati agli angoli dell'edificio, 
mentre le scritte spray sono la cornice degli antichi mattoncini C'è chi se la 
prende con Ma ratti per le sorti dell'Inter e chi giura eterno amore ad una fantomatica 
ragazzina. Altro che rinascita culturale. Perfino parte del vetro antisfondamento 
è stato distrutto in mille pezzi E pensare che i tempietti erano destinati ad 
essere il biglietto di visita del capoluogo di provincia. Si era parlato di uno 
sportello informativo per il sistema museale cittadino oppure di un centro multimediale 
di orientamento, e qualcuno continua ancora a lavorare sul progetto. Qualche settimana 
fa, era stato promosso uno spettacolo di arte contemporanea. Visitatori e applausi 
Poi cartacce e resti di una costruzione artistica, ridotta a brandelli di legno 
e filo pesante. Nessuno l'ha rimossa e la sporcizia ha continuato ad accumularsi 
Forse, come era stato già ipotizzato, non rimane che chiudere i tempietti con 
una recinzione di diversi metri Si salverebbe la storia, ma al prezzo di renderla 
invisibile."  Alessandra 
Fiore - il Centro Chieti, 27 giugno 2005 |   |  |   
            | Degrado 
                in piazza Mercanti |   |  
                16/6/2005 |   
| "La 
guerra al degrado urbano? «Non bastano gli sponsor, chi deve combatterla è la 
pubblica amministrazione». Lo dice Carla Di Francesco, sovrintendente ragionale 
ai beni artistici e architettonici, all'indomani dell'allarme sul degrado di Piazza 
dei Mercanti. Ma mentre il Comune si difende respingendo al mittente le accuse 
d'inerzia («L'ultimo restauro è del '99 e ci abbiamo speso 10 miliardi di vecchie 
lire», dice il vicesindaco De Corato), è la Camera di Commercio a farsi avanti 
per proporre: «Se il Comune ci sta, piazza dei Mercanti siamo pronti ad adottarla 
noi». L'architetto Di Francesco, sulle armi per combattere il degrado, ha le idee 
chiare: «Gli strumenti principali anti-degrado si chiamano manutenzione e controlli. 
Spesso in quest'ordine». E il senso civico no? «Ovvio che sì. Ma anche quello, 
inteso come cultura del rispetto delle cose e delle regole, non può nascere dall'oggi 
al domani. Va coltivato e fatto crescere. E in questo campo è figlio, anche lui, 
di una buona manutenzione e di controlli costanti». E la sovrintendente continua: 
«Naturalmente Palazzo della Ragione è solo una delle situazioni milanesi critiche. 
E non è possibile proporre una ricetta unica per tutte». Esempi? «Prendo tre casi 
diversi. Il primo sono le Colonne di San Lorenzo: un luogo frequentatissimo, dove 
è evidente che non basta "l'uso" di uno spazio per impedirne il degrado, ma occorre 
che quell'uso sia a sua volta soggetto a regole. Il secondo Grazie, dove invece 
il problema numero uno è la manutenzione ordinaria. Il terzo è la Stazione Centrale, 
summa dei cattivi comportamenti, dove il degrado è prima di ogni altra cosa un 
problema sociale». A chi spetta intervenire? Carla Di Francesco non ha dubbi: 
«Premesso la responsabilizzazione dei cittadini, perché ogni bene pubblico appartiene 
a tutti e a ciascuno, e come tale dovremmo trattarlo, manutenzione e controlli 
spettano evidentemente alla pubblica amministrazione». E gli sponsor privati? 
«Ben vengano, certo, ma la loro utilità dipende soprattutto dalla continuità. 
Sulle aiuole è più facile, su una piazza lo è meno. Insomma, ogni contributo per 
una non si può sempre scaricare sui privati un ruolo supplente di compiti pubblici». 
Nel frattempo però, come si è detto, la Camera di Commercio ce l'avrebbe eccome, 
la voglia di rendersi utile. E sottolineando come, tutto sommato, Piazza dei Mercanti 
sia vicina all'ente non solo nel nome ma anche logisticamente, con Palazzo dei 
Giureconsulti appena di là dalla strada, il presidente Carlo Sangalli lancia al 
Comune un'offerta concreta: «Se Palazzo Marino lo ritiene utile, siamo pronti 
a collaborare fattivamente perché la Piazza e il Palazzo della Ragione siano curati 
come meritano». Il vi-cesindaco De Corato prende la palla al balzo e risponde 
immediatamente: «Prendo atto e ringrazio di questa disponibilità, in attesa di 
ricevere un progetto». Quel che tiene a precisare aspettando di riceverlo è che 
«il Comune, sul Palazzo della ragione e la piazza sottostante, non è stato affatto 
con le mani in mano». Elenca: «II restauro lo abbiamo fatto ed è recentissimo. 
Certo può esserci qualche lastra di pavimento che ha ceduto, e sarà sostituita 
come è stato già fatto in passato. I graffiti? Li puliamo regolarmente: il fatto 
che ricompaiano, come è nota, è un problema di tutta Milano e lo stiamo affrontando 
non da ieri. Quanto all'utilizzo della piazza, ricordo solo che mostre, concerti 
e iniziative organizzate dal Comune in quello spazio non si contano, l'ultima 
rassegna jazz è finita la scorsa settimana». i Paolo 
Foschini Corriere della Sera – Milano, 16/06/2005  |   |  |   
            | spazzatura 
                all'anfiteatro di Lecce |   |  
                12/6/2005 |   
| "Il 
sindaco infuriato per i rifiuti che rovinano l’ immagine della città: non 
possiamo intervenire «Costretti a subire lo sconcio» - Sindaco Poli: la pulizia 
dell'anfiteatro spetta alla Sovrintendenza. Che i rifiuti nell'anfiteatro romano 
siano uno sconcio non vi è dubbio, ma il Comune ha le mani legate: parola di sindaco. 
Adriana Poli Bortone attacca la Sovrintendenza, proprietaria del monumento e quindi 
tenuta a garantirne la custodia, la pulizia e la fruibilità. «Abbiamo le mani 
legate, dice il sindaco, malgrado quello sconcio sia una macchia pesante sul biglietto 
da visita della città. Più volte abbiamo sollecitato una soluzione, offrendo collaborazione, 
ma invano». Il sindaco, però, tornerà alla carica: una soluzione va trovata, 
quello sconcio deve essere rimosso in fretta. Le stranezze: ma che serve il custode? 
«Ingresso vietato ai netturbìni» Solo pochi giorni: fa l'anfiteatro ha ospitato 
ì tifosi che hanno festeggiato la permanenza in serie A del Lecce. Nessuno li 
ha fermati, perché ora dovrebbero fermare i netturbini? Vita magra di un monumento-simbolo. 
L'anfiteatro-discarica è quanto di "meglio" la burocrazia (quella con la 
"b" alta quanto una casa) riesca a offrire in città. Se all'interno i rifiuti 
si ammucchino - grazie soprattutto, va detto, agli incivili che usano la cavea 
come un'enorme pattumiera - non si riesce a inviare qualcuno che pulisca. Il 
Comune spiega che il compito deve essere della Soprintendenza, responsabile del 
sito archeologico, ma la stessa Soprintendenza non prevede alcun intervento di 
rimozione della spazzatura. C'è solo un custode, che svolge il suo lavoro 
in alcune ore della giornata e che da solo non può far nulla. E allora, con l'amministrazione 
comunale che non può muoversi e la Soprintendenza che non ne vuol sapere, nessuno 
interviene. Formalmente se un dipendente della società che ha in appalto la nettezza 
urbana a Lecce dovesse scavalcare 'il cancelletto per raggiungere l'interno dell'anfiteatro 
commetterebbe un reato. Potrebbe giungere un poliziotto o un carabiniere, o un 
vigile urbano, a bloccarlo. Potrebbe. Però è ben difficile che accada, visto che 
in ogni momento della giornata e della notte in tanti scavalcano indisturbati 
quel cancelletto che è di fronte ai portici del palazzo Ina. Indisturbato lo scavalcò, 
un paio di anni fa, Gianni Ippoliti con il suo gruppo di volontari che m un pomeriggio 
raccolsero ogni genere di rifiuti ripulendo il monumento. Nessuno intervenne per 
fermare chi stava pulendo. Vuol dire, questo, che la stessa tolleranza verrebbe 
applicata se a pulire fossero i dipendenti della società della nettezza urbana? 
E poi, è stato fatto notare, l'esigenza di tenere pulita quella parte della città 
e quindi la necessità di garantire il decoro non sarebbero sufficienti a giustificare 
un "blitz" dei netturbini. Già, ma in tal caso chi pagherebbe visto che nel 
capitolato d'appalto non è compresa la pulizia dell’anfiteatro? Solo domande, 
per ora, ma qualcuno una risposta dovrà pur darla. La settimana scorsa, mutato, 
è stato ripulito il teatro romano, su iniziativa della Fondazione Memmo (che gestisce 
il museo attiguo, nella piazzetta dove c'è il monumento a Fanfulla) e della Ecotecnica, 
quest'ultima la società che gestisce a Lecce (con l'Aspica) il servizio di nettezza 
urbana. Un destino diverso rispetto a quello dell'anfiteatro, grazie anche a Itersalento 
che, in collaborazione con la Fondazione Memmo, organizza spesso visite guidate 
e iniziative per i turisti. Nuovo Quotidiano Lecce 13-GIU-2005 Il sovrintendente 
chiede di incontrare la Poli e fa una proposta: «Coinvolgiamo 
anche i privati nella gestione del monumento» L'anfiteatro cerca 
un padrone di ANNA RITA INVIDIA Messo "sotto accusa" dal sindaco Adriana Poli 
Bortone («Se l'anfiteatro romano è sporco non è colpa nostra, la pulizia non spetta 
a noi»), il sovrintendente ai Beni archeologici Giuseppe Andreassi mette le mani 
avanti. «Non fatemi fare la parte del cattivo - dice -, io voglio risolvere questo 
problema almeno quanto lo vuole il sindaco. Anzi, ne approfitto per lanciare una 
proposta che, a mio parere, rappresenta anche l'unica soluzione reale: istituire 
un tavolo tra Sovrintendenza, amministrazione comunale e agenzia del demanio, 
che è la proprietaria del bene». Già l'anno scorso il problema della pulizia dell'anfiteatro 
fu sollevato e ci furono anche i primi contatti tra la Poli e Andreassi. «Fu tu 
uno scambio di lettere - continua il sovrintendente - ma poi, presi da tanti problemi, 
non se ne fece niente. L'anno scorso riuscimmo a tamponare con qualche intervento 
di pulizia strardinaria, faremo la stessa cosa anche adesso: è già nelle previsioni». 
Ma non è una pulizia straordinaria - neanche una volta al mese - che può risolvere 
il problema dell'anfiteatro di piazza Sant'Oronzo. «Il fatto è proprio questo 
- conferma Andreassi -, se domani noi ripuliamo l'anfiteatro, tra quindici giorni 
sarà nuovamente sporco. Anche perché come i leccesi sapranno meglio di me, visto 
che l'anfiteatro ce l'hanno sotto gli occhi, questo monumento si è trasformato 
in un centro di aggregazione giovanile. Nell'anfiteatro viene gettato di tutto, 
dalle lattine alle bottiglie e alle cartacce. A Tarante, per un'importante zona 
archeologica, siamo riusciti a trovare una soluzione sottoscrivendo una convenzione 
con il Comune che provvede, alla presenza di un nostro addetto, a pulire due volte 
a settimana». Il problema è complesso, non riguarda solo la pulizia e il decoro 
dell'anfiteatro: ormai è arrivato il momento di parlare del futuro di questo monumento 
(che non è aperto al pubblico da almeno quindici anni) e della sua gestione complessiva 
che non può non comprendere la fruizione del bene. La Sovrintendenza avvisa: da 
" sola non può caricarsi dell'onere di portare avanti la gestione dell'anfiteatro. 
Serve la collaborazione di Palazzo Carafa e - perché no ? - anche dei privati. 
«L'anfiteatro - spiega Andreassi - è un bene di difficile gestione. Come sono 
tutti i monumenti all'aperto, che richiedono una pulizia quotidiana o quasi e 
una vigilanza continua. Se non ricordo male proprio a Lecce, la scorsa estate, 
qualcuno sollevò il problema delle chiese che erano aperte solo per poche ore. 
Non mi sembra che sia stata trovata una soluzione perché l'unica possibile e quella 
di pagare qualcuno che sia presente durante tutto l'orario di apertura. E' una 
soluzione costosa. Lo stesso discorso vale per l'anfiteatro: il problema è di 
presidio umano». C'era un tempo, prima del '90, ossia prima che iniziassero i 
lavori nell'anfiteatro romano, in cui la Sovrintendenza ai beni archeologici provvedeva 
sia alla pulizia che a tenere aperto il monumento. «Un monumento così antico e 
all'aperto - aggiunge ancora Andreassi - non può essere fruibile senza controllo, 
né si può pensare di blindarlo. Forse oggi non lo si riporterebbe nemmeno alla 
luce. Prima eravamo noi a occuparci di tutto, poi con l'inizio dei lavori, nel 
'90, l'anfiteatro è stato consegnato alla ditta che a un certo punto è anche fallita. 
Insomma, in questo lungo periodo di transizione, la situazione si è ingarbugliata 
ed è diventata ambigua. Oggi la Sovrintendenza non può assumersi l'onere di gestire 
da sola l'anfiteatro: una volta avevamo il personale per farlo, oggi non ce l'abbiamo». 
Da qui la proposta di Andreassi. «Rinnovo il mio invito al sindaco Poli Bortone 
a istituire un tavolo, a cui dovrà sedere anche l'agenzia del demanio, per trovare 
insieme una soluzione che non dovrà limitarsi alla pulizia ma riguardare l'intera 
gestione del bene. Si può decidere di concedere al Comune la gestione diretta 
dell'anfiteatro o si jpgtrebbei(. pensare di coinvolgere' ì* privati, ai quali 
però bisogna prospettare una possibilità di guadagno. Le ipotesi di soluzioni 
non mancano, io non ho la presunzione di poter dare una risposta in 24 ore e nemmeno 
in 24 giorni, tanto è complessa la situazione. Ma se inibiamo a lavorare adesso, 
forse a ottobre la convenzione sarà firmata». E magari la prossima estate non 
staremo qui a scandalizzarci di nuovo perché nessuno pulisce l'anfiteatro». o Oscar 
D'Angelo Nuovo Quotidiano Lecce 12-GIU-2005 |   |  |   
            | Degrado 
                a castel S. Angelo |   |  
                13/9/2004 |   
| "Roma: 
lontani i tempi «d'oro» del Giubileo. Strutture fatiscenti, topi e sporcizia assediano 
la fortezza Una discarica infestata dai topi, ai piedi del «passetto» papale. 
Antiche mura, ridotte a vespasiani. Latrine, bivacchi, accampamenti e «depositi 
bagagli» di barboni, senza tetto, disadattati, nel fossato e sui bastioni. Materassi 
e coperte infilati nelle antiche feritoie. Sistemi di irrigazione difettosi. Passerelle 
pericolanti e malamente transennate. Castel Sant'Angelo è assediato dal degrado. 
L'immortale storia d'amore della Tasca di Puccini si svolgerebbe ora dentro una 
sorta di campo nomadi. Eppure, in occasione del Giubileo, il Comune ha incassato 
ben quattro miliardi e mezzo di lire per i restauri e il ripristino del fossato 
e dei giardini di questa che è la fortezza papale più celebre e ricca di storia. 
Pioggia di milioni {tremila!) anche per la Soprintendenza archeologica. In meno 
degrado appare il fossato, per il cui recupero infrastnitturale il Decimo dipartimento 
del Comune ha incassato 1 miliardo 427 milioni 910mila lire di fondi giubilari. 
I turisti che si affacciano dal bastione di San Matteo vedono un albero rinsecchito, 
abbattuto, resti di rami e immondizie bruciate, una latrina dietro un cespuglio 
di alloro. Imboccando viale Giuseppe Ceccarelli «Ceccarius», ecco subito sulla 
destra un pilastro di mattoni sbrecciato, malamente delimitato da un nastro di 
plastica afflosciato. Sotto il pilastro, i bagni pubblici. La richiesta di servizi 
igienici risulta superiore all'offerta, a giudicare dal cartello bilingue, con 
la scritta: «Cortesemente non fate i vostri bisogni sulla porta». E un crescendo 
di degrado. In un fossato ai piedi del muro, tra O bastione San Matteo e quello 
di San Marco, c'è un deposito di cassette, coperte da vecchie incerate, bottiglie, 
perfino un sombrero. A pochi metri, sotto gli archi del passetto, quello che sembra 
un chiusino pieno di acqua lurida si rivela essere il portalampade di un lampione 
«a raso». Accanto, due enormi palanche, vicino a uno dei tanti cestini dell'Ama 
poggiato a terra, ai piedi del suo sostegno. Altre tavole marce sono quelle della 
passerella davanti all'ingresso posteriore del castello, proprio dirimpetto alla 
statua dell'imperatore Adriano. Evidentemente i fondi incassati dalla Soprintendenza 
ai Beni archeologici di Roma in occasione del Giubileo (1 miliardo 329 milioni 
936mila lire, per il restauro del Mausoleo di Adriano) non sono bastati per sostituirle. 
Qualcuno, però, passa ancora su quelle tavole ogni giorno. Giacigli di cartone 
e cenci sono in piena vista sotto l'arco di questa postierla. Più discreti, altri 
barboni si sono installati nelle fosse recintate ai piedi del bastione San Marco. 
Utilizzano le feritoie circolari di marmo per depositarci coperte e trapunte. 
Altri materassi sono infilati in una fessura del muro, proprio davanti al portale 
d'ingresso, opera di Giovanni Sallustio Peruzzi nel 1556. Saliamo sui bastioni 
e sprofondiamo nel degrado. Il portale involontario a un vero e proprio abisso 
di sozzura è il passetto papale. Proprio dirimpetto alla stazione dei carabinieri 
San Pietro, in una cavità dei bastioni, i resti di un misero appartamento, dal 
tetto crollato. Si stenta a credere che il dipartimento X. del Comune abbia incassato 
ben 2 miliardi 898 milioni 531mila lire, per «Lavori di recupero infrastrutturale 
e vegetazionale dei giardini dei bastioni», in occasione del Giubileo. Il bastione 
San Marco, in particolare, è un lercio bivacco: cancellate diverte, fontane a 
secco, fossati di ronda riempiti di tappeti, trapunte, enormi sacchi di plastica 
pieni di chissà cosa. Tomba collettiva di imperatori, roccaforte delle mura aureliane, 
galera ostrogota, fortezza e lussuoso rifugio papale, carcere di personaggi celebri 
della storia (da Beatrice Cenci a Benvenuto Cellii), scenario virtuale di una 
delle opere liriche più famose al mondo e, infine, museo. Nemmeno un genio come 
Adriano avrebbe mai immaginato quante volte il suo mausoleo sarebbe stato riciclato. 
A realizzarlo pare sia stato lo stesso Adriano, non a caso, il nome di questo 
imperatore è legato al vallo di Adriano e a Villa Adriana. C'è da dire, però, 
che, anche se questo monumento ha ben resistito a duemila anni di assalti dei 
nemici e di ristrutturazioni dei proprietari, restando ancora leggibile, l'aspetto 
dell1 Hadrianeum era diverso da quello del Castel Sant'Angelo di oggi. Il tetto, 
rotondo, per esempio, doveva somigliare a quello del Mausoleo di Augusto, dall'altra 
parte del Tevere: un tumulo di terra di tipo etrusco, con molti alberi. Pare incredibile 
che questa tomba così grandiosa si potesse trasformare in una fortezza imprendibile. 
Ma così fu. Questa idea venne all'imperatore Aureliano. La tomba, via via fortificata, 
si rivelò imprendibile: le orde dei Goti dovettero togliere l'assedio. Ma fu ancora 
un re goto, Teodorico, a fare, per primo, della fortezza una prigione. Tradizione, 
poi, continuata dai papi. Gian 
Pietro Milanetti - il Giornale 13-SET-2004 |   |  |   
            | "I 
                monumenti ridotti a discarche" |   
|  
                13/7/2004 |   
| "Roma: 
ruderi millenari ridotti a latrine. Celebri tombe circondate da resti di accampamenti 
di extracomunitari. Strade romane cosparse di immondizie o completamente ricoperte 
di terriccio. Angoli di marciapiedi devastati, recintati da reti di plastica arancione. 
Pannelli informativi imbrattati da sgorbi in vernice spray e da adesivi di protesta. 
Giardinetti usati dai senza tetto come dormitori, ridotti a pantani dagli impianti 
di irrigazione difettosi. Porta Maggiore, uno dei più celebri ingressi monumentali 
della Roma antica, soffoca nel degrado. Soprintendenze archeologiche. servizio 
giardini, Ama, vigili urbani, restano inermi di fronte al deterioramento di un 
patrimonio culturale che non è soltanto della Capitale, ma dell'umanità intera. 
Incuria e trascuratezza attaccano il cuore stesso della porta, il famoso sepolcro 
di Eurisace, posto tra i due archi principali. Il fossato che circonda la monumentale 
tomba è ancora ingombro da rifiuti: cenci, tavole e bottiglie, giornali, resti 
dell'accampamento di extracomunitari rimasto per mesi addossato al monumento. 
Proprio davanti al sepolcro, su piazzale Labicano, a lato della fermata del tram, 
un tratto di via romana (qui ne confluivano due: la Labicana e la Prenestina), 
a livello inferiore del piano stradale, è ridotta a una sorta di cassonetto scoperchialo: 
cartacce, bottiglie di plastica, Alcune immagini di degrado a piazza Maggiore: 
sporcizia, calcinacci, recinzioni, scritte che sconciano una delle piazze più 
trafficate del centro di Roma pacchetti di sigarette, ricche, rendono invisibili 
i tipici basoli della pavimentazione. Procedendo in dirczione nord, verso viale 
scalo san Lorenzo, l'erba dei giardinetti è quasi tutta secca per la siccità. 
Le bocchette dell'impianto di irrigazione sono tutte asciutte, tranne un paio, 
da cui fiotta l'acqua che alimenta due piccoli pantani, tra i quali si stendono 
logori giacigli di cartone. Al di là delle mura, c'è il tumulo di una tomba sostenuto 
da una staccionata. Ai piedi del sepolcro, una giacca e altri cenci stratificati. 
Tra il tumulo e le mura, siringhe abbandonate da eroinomani. A pochi passi dall'arco 
monumentale nord, ecco, tra i ruderi in laterizio, una miserabile cuccia per gatti, 
fatta di pezzi di elettrodomestici e pannelli. Al di là dei binari della Roma-Pantano, 
due piccoli recinti di plastica arancione racchiudono angoli di piazza che sembrano 
essere stati colpiti da un bombardamento chirurgico. Pali metallici a terra, tombini 
fuori sede, asfalto in pezzi, frammenti di cemento, inframmezzati da buste di 
rifiuti. Tra i due recinti, una vecchia cabina semaforica ferroviaria è tutta 
imbrattata di vernice rosa e blu. È un crescendo di degrado: ad alcuni metri in 
dirEzione di via di Porta Maggiore, il bagno pubblico interrato è aperto ma proprio 
nella nicchia d'ingresso dell'ascensore ci sono escrementi e ovatta sporca. Il 
vecchio telefono del parcheggio-taxi è scardinato. Restano solo i fili penzolanti. 
Proprio al centro di piazza di Porta Maggiore, in corrispondenza dei due archi 
centrali, l'unico pannello informativo è illeggibile, ricoperto com'è da vernice 
spray e adesivi dei pacifisti (come si ricorderà, piazza Maggiore doveva essere 
uno dei posti di blocco del movimento per impedire l'eventuale passaggio di Bu-sh, 
lo scorso 4 giugno). Pochi metri a sud, in dirEzione di via Eleniana, una spianata 
di terriccio con qualche filo d'erba e tante bottiglie di birra, lattine, fazzolettini 
e cartacce, ricopre un tratto di strada romana perfettamente conservata, prima 
visibile e transennata, ma perennemente ricoperta dalle erbacce e dalle immondizie 
e ultimamente anche dalle stesse transenne, piegate e sradicate da un'auto impazzita, 
e mai riparate. Appena a lato, appoggiato a un lampione, la carcassa di un motorino 
senza targa e un palo arrugginito con una tabella ormai illeggibile. Verso via 
Eleniana sotto due alberelli è legata una carrozzina di un barbone, stracarica 
di masserizie. Subito dietro, c'è l'angolo più degradato della porta. Una nicchia 
che emerge dal terreno è chiusa con un pannello di multistrato strappato a un 
mobile economico. Dietro, ciotole per i gatti. Addossato alle mura e nascosto 
da rampicanti, un anfratto è ridotto a una lurida latrina: escrementi tra pannelli 
di compensato, bottiglie di birra vuote, una vecchia batteria. A pochi metri, 
in direzione degli archi centrali, nella strettoia tra due muri, in piena vista, 
c'è una piccola discarica: cenci, vecchi giornali, bottiglie di plastica." 
 il Giornale 
- 13-LUG-2004 |   |  |   
            | "I 
                monumenti muoiono di inquinamento" |   |  
                15/4/2004 |   
| "II 
grido di dolore di La Regina: "Smog, macchine, incuria " Dopo ricerche 
e studi venne messa a punto nel 1981 la legge Biasini, grazie alla quale si intervenne 
nei luoghi di maggiore degrado L'inquinamento dovuto 
al traffico delle auto e agli impianti di riscaldamento è 
tra le cause principali della rovina dei monumenti. Con la legge del 
3 per cento si potrà usufruire di risorse per il patrimonio archeologico in occasione 
della realizzazione della linea C della metro Le immagini dei principali monumenti 
di Roma distratti dal degrado e dall'inquinamento diffuse nel 1979 fecero il giro 
del mondo.  "I 
nostri 
monumenti stanno morendo»: il grido di dolore si leva nella grande sala dell'Accademia 
dei Lincei, sede del convegno «Ecosistema Roma», tre giorni di una passerella 
di studiosi intorno al tema della vivibilità della città. L'allarme sul 
patrimonio artistico viene dal soprintendente Adriano La Regina che parla fra 
i primi, ieri mattina alle undici: «La lenta azione di decadimento della superficie 
marmorea dei monumenti romani prosegue inesorabile. È necessaria una nuova 
politica di conservazione dei beni artistici, tesoro che appartiene all'umanità 
intera. Salvaguardare il patrimonio monumentale della Capitale è sempre più difficile». 
Inevitabile ed immediato, il collegamento con quello che fu l'altro, storico grido 
d'allarme sul tema, lanciato alla fine degli anni Settanta, quando per intervenire 
sul degrado cronico dei monumenti si varò una legge speciale, la Biasini che servì 
a finanziare importanti restauri. Ma sono passati già più di vent'anni. Di smog, 
riscaldamento, d'incuria. Oggi, molto tempo dopo la chiusura degli ultimi 
interventi di restauro, la situazione torna ad essere critica: 
«Il punto è che non 
si riesce a lavorare ad una manutenzione accurata e costante, 
anche non straordinaria. 
Per intervenire si aspetta sempre che le situazioni siano irrimediabili. 
Per il lavoro di tutti i giorni non ci sono soldi. E non ci sono soldi perché 
di queste cose non importa niente a nessuno. 
Anzi, spesso la tutela del patrimonio è considerata un limite allo sviluppo». 
In un quadro di inquinamento pesante rimediabile soprattutto, aggiunge la Regina, 
attraverso «interventi di carattere urbanistico» come la riduzione del traffico 
automobilistico, sono tante le situazioni a rischio che richiedono interventi 
in tempi rapidissimi. E' il caso della colonna Troiana, con le sue decorazioni 
che rappresentano il racconto quasi cinematografico della campagna contro i Daci, 
ora transennata per proteggerla da chi ci lancia dentro rifiuti; della Colonna 
di Marco Aurelio in piazza Colonna che porta addosso già con evidenza i danneggiamenti 
degli agenti atmosferici; degli archi di Tito, di Costantino e di Settimio Severo, 
e persino del Colosseo i cui restauri proseguono a fatica. «Certamente negli ultimi 
anni intorno all'area archeologica centrale il traffico è stato dimolto ridotto. 
Ma non basta: su questi monumenti servono interventi entro il prossimo anno 
al più tardi», continua La Regina. In un quadro decisamente fosco, il soprintendente 
ricorda come proprio ieri sia stata presentata dai ministri Lunardi e Urbani la 
cosiddetta "legge del 3%" sulla base della quale nuove risorse potranno venire 
ai beni culturali e al patrimonio dei monumenti antichi con investimenti nei grandi 
progetti: nel caso di Roma potrà essere fonte di risorse la nuova linea della 
metropolitana C che solcherà il cuore dell'area archeologica tra il Foro romano 
e piazza Venezia. «Oltre agli scavi preliminari, indispensabili per individuare 
i punti adeguati alle entrate e alle uscite della metro, con le nuove risorse 
ricavate da questa grande opera si potrà rimettere in sesto il Palatino che è 
gravemente a rischio», conclude La Regina. Grazie al grido d'allarme del 1979 
e agli studi che ne seguirono, si salvò dall'edificazione, per esempio, parte 
dell'Appia antica. Venticinque anni dopo rimangono — conclude La Regina — due 
principi imprescindibili da perseguire. Il primo è l'idea di Roma di Argan, secondo 
cui «la parte centrale della città va sgravata dalle funzioni insostenibili che 
devono essere ridistribuite su tutta l'area e sempre più concentrata su funzioni 
culturali: l'opposto di quello che sta avvenendo» e il secondo è «di non consumare 
ulteriormente i suoli della fascia suburbana che hanno mantenuto il tradizionale 
carattere agricolo, per salvaguardare ciò che resta del suburbio romano con l'effetto 
di indurre processi di autorisanamento nelle aree già urbanizzate e degradate 
della periferia». In sala, applausi e molta preoccupazione. Francesca 
Giuliani - la Repubblica, Roma 15-APR-2004 |   |  |   
            | "Lo 
                stato divora i suoi tesori" |   | Süddeutsche 
                Zeitung 3/2/2004 |   
            | Il 
              duello dell’Italia sulla vendita dei suoi beni culturali Mentre 
              altri paesi riflettono su dove trovare mezzi finanziari per promuovere 
              imprese culturali, l’Italia pensa a monetizzare una parte dei suoi 
              beni culturali per sanare buchi di bilancio di altra pertinenza. 
              Nel frattempo i fondi per la cultura rimangono ad un livello scandalosamente 
              basso (0,33 % del recente bilancio statale). L’enorme patrimonio 
              di beni culturali che rende l’Italia da questo punto di vista forse 
              il paese più ricco al mondo – accanto a innumerevoli chiese e conventi 
              si contano circa 40.000 rocche e castelli, 30.000 tenute, 4000 giardini 
              storici, 2100 luoghi di scavo, 1000 centri storici di eccezionale 
              importanza, una miriade di palazzi cittadini dei passati secoli 
              e altro ancora – risveglia anche desideri di trasformare in moneta 
              sonante questa ricchezza. E questo in un paese, che con molte misure 
              protezionistiche, che risalgono al xv secolo, certo è diventato 
              un modello internazionale per la tutela dei beni culturali. Con 
              crescente raccapriccio l’opinione pubblica italiana segue un tetro 
              duello tra due membri del governo romano. Da un lato sta il ministro 
              dei beni culturali, Giuliano Urbani, che è d’ufficio responsabile 
              della tutela dei beni culturali, dall’altro il ministro dell’economia 
              e delle finanze, Giulio Tremonti che vuole far risuonare la cassa. 
              Questa è una lotta, che assomiglia alla gara tra la tartaruga e 
              la lepre. Ogni volta che Urbani medita su misure di tutela, Tremonti 
              dice: “Io sono già qui”. E’ stato così due anni fa, quando il ministro 
              delle finanze faceva raccogliere di punto in bianco tutti i beni 
              culturali di proprietà dello stato in una società per azioni, “Patrimonio 
              dello Stato Spa”, appositamente fondata, che ebbe l’incarico di 
              vendere tutto quanto fosse possibile. Ed è stato così un anno fa, 
              quando ugualmente Tremonti tentò di mettere fuori gioco gli uffici 
              preposti alla tutela monumentale che fino ad allora avevano l’ultima 
              parola per quel che concerne una possibile alienazione di beni statali 
              (un palazzo cittadino barocco si vende assai più facilmente di un 
              casermone del dopoguerra)....(segue) |   |  |   
            | «Le 
                basiliche assediate dall'incuria» |   | 30 
                luglio 2003 |   | "Le 
chiese e le basiliche fiorentine sono assediate dall'incuria, dal caos, 
dallo sporco, dalla microcriminalità, dalla volontà di snaturarne addirittura 
l'identità di luoghi di culto, per farne solo dei musei. E tutto, per colpa 
degli amministratori comunali fiorentini, guidati dal sindaco Leonardo Domenici 
che, oltre tutto, è anche presidente dell'Anci, l'associazione dei comuni italiani. 
La crociata. Questa, almeno, la convinzione dell'Arcidiocesi di Firenze. O, più 
esattamente, di monsignor Timothy Verdon, canonico della cattedrale di Santa Maria 
del Fiore, il duomo, e, con lui, dei priori, dei rettori e dei guardiani delle 
principali chiese e basiliche fiorentine. Un'accusa del genere, e con questi 
toni, non si era mai sentita sulle rive dell'Arno, tant'è che ce n'è abbastanza 
per far scoppiare un «caso» tra Palazzo Vecchio e le stanze di fronte al Battistero, 
che ospitano l'arcivescovo Ennio Antonelli (probabile cardinale al prossimo concistoro, 
viste le prerogative della città), che ha dato il suo placet alle esternazioni 
dei priori e di monsignor Verdon, americano di nascita e fiorentino di adozione 
spirituale e di vita. Così, almeno, ha detto, iniziando la sua requisitoria, Timothy 
Verdon: «L'arcivescovo mi ha incoraggiato a portare avanti questa piccola crociata. 
Ma le chiese e le basiliche di Firenze sono umiliate da caos, criminalità e sporcizia. 
Una mancanza che è un'offesa alle radici cristiane della città. E questa città 
che ha creato l'ideale massimo dell'Umanesimo, come fa a smontare cosi il suo 
passato?». Monsignor Verdon non ha fatto complimenti: «L'arengario di fronte 
a Palazzo Vecchio è mantenuto con grande rispetto. Perché non succede lo stesso 
con i sagrati delle nostre chiese?». A dargli man forte sono arrivate le parole 
del priore di Santa Maria Novella: problemi di ordine pubblico di notte e di giorno, 
coi bivacchi di centinaia di persone; mancanza assoluta di servizi igienici, con 
i muri esterni della chiesa trasformati in latrina. La controffensiva. Poi le 
accuse del padre guardiano di Santa Croce, la basilica dei Sepolcri: borseggi 
anche in chiesa; un «progetto occulto per laicizzare, per far dimenticare che 
le chiese sono anche luoghi di culto», E di chi la colpa? Ancora una volta, dita 
puntate sul Comune. A metà pomeriggio, quando le prime note di agenzia avevano 
già preso il volo, Palazzo Vecchio è passato al contrattacco. Il sindaco ha preferito 
non intervenire, lasciando la replica all'assessore alla cultura, Simone Siliani 
e a quello allo sviluppo economico, Francesco Colonna. Ma c'è stata anche incredulità, 
all'inizio. Poi, i comunicati. Vero o falso il quadro fatto dai preti? Accuse 
da rispedire al mittente, ha tuonato Palazzo Vecchio: «I toni e i contenuti della 
nota dell'Arcidiocesi...sono davvero inusuali fuori misura e per certi versi offensivi...». 
I problemi, alcuni problemi, riconosce l'amministrazione possono anche esserci, 
ma non in questi termini. La miccia è stata accesa. La polemica non finirà certamente 
qui. Ennio 
Macconi Nazione – Carlino  |   |  |   
            | "Quei 
                vandali con la vernice" |   | Giugno 
                2003 |   |  |   | Ogni 
notte, una moltitudine di cultori della vernice pazza imbratta gli edifici delle 
nostre città e scompare nella quasi certezza dell'impunità. Neanche si salvano 
i monumenti storici, come ripete sorpreso lo straniero affezionato al tour estivo 
in Italia. Dovunque il viaggiatore vede quegli sgorbi detti benignamente graffiti, 
che le nostre amministrazioni pubbliche tollerano ancora o forse non vedono più. 
Prevale quell'incuria, lassista o permissivista, che subisce i «vandali in casa» 
come un fenomeno insopprimibile. Ma le stesse norme legislative sulla tutela ambientale 
risultano inadeguate a fronteggiare le torme dei ludici bombolisti, decisi a perseverare 
nelle loro scorrerie notturne. Chi difende i prospetti architettonici, almeno 
quelli antichi, e chi «le mura e gli archi»? Dieci anni fa, un disegno di legge 
approvato dal governo Ciampi e trasmesso al Parlamento aveva tentato d'aggiornare 
le difese contro i danni da vernici nebulizzate. Si trattava di risparmiare, oltre 
tutto, i tanti miliardi profusi ogni anno per i restauri. Si doveva punire in 
genere per «danno ambientale» chiunque deturpa gli edifici,, con sanzioni aggravate 
contro chi danneggia «cose di particolare interesse artistico e storico». Era 
previsto per l'industria chimica l'obbligo di segnalare sui nebulizzatori gli 
elementi della composizione, oltreché accludere dettagliate schede sui prodotti 
utili alla rimozione del colore. Nelle nuove confezioni distribuite sul mercato, 
doveva, escludersi ogni sostanza corrosiva delle superfici lapidee. Un'altra norma 
tendeva poi a limitare il commercio delle vernici spray al piccolo dettaglio, 
senza penalizzarne gli usi professionali e industriali. Al disegno di legge avevano 
collaborato con pazienti ricerche l'Istituto centrale del restauro, l'Opificio 
delle pietre dure, l'Università di Roma e sei ministeri. Un lavoro vanificato. 
Non se n'è fatto niente. Lo scempio vandalico si cronicizza. Le norme vigenti 
non rispondono alla necessità di rigore prevista in quel disegno di legge, mentre 
nel costume amministrativo dominano insieme inefficienza e indulgenza. Il fidecommesso, 
l'obbligo di trasmettere ai discendenti l'eredità ricevuta, è un essenziale principio 
etico prima che giuridico, ma troppi lo ignorano in particolare nella pubblica 
tutela dei beni architettonici. Sarebbe logico, mentre si cerca di valorizzare 
il complesso patrimonio dei musei, tutelare quei «musei a ciclo aperto» che sono 
i nostri centri storici urbani. Ogni sindaco, beninteso, può rispondere che non 
si potranno mai custodire le antiche piazze come i musei. Ma nelle amministrazioni 
locali è anche latente, o persino evidente, un pregiudizio favorevole alla «fruizione» 
sconsiderata della città «vissuta» purchessia e agli esuberanti attivisti delle 
vernici. Sarebbero in causa forme di vitalità in cerca d'espressione creativa 
o contestativa, sfoghi di animi travagliati e repressi, messaggi d'un malessere 
generazionale. Il giustificazionismo sociologico, e anche demagogico, sa comprendere 
qualsiasi spontaneismo in voga. Da parte loro, col conforto della diffusa clemenza, 
i maniaci dediti agli sgorbi murali come ammissibili benché invasive provocazioni 
non sanno valutare, o neanche vogliono considerare, i danni al patrimonio di tutti. 
Dunque rimane vasto il fenomeno d'una «ignoranza attiva», che non incontra serie 
sanzioni o dissuasioni.  
Alberto Ronchey - Corriere della Sera 20/6/2003 |   |  |   
            | "Città 
                belle ma sporche" |   |  |   |  |   | Città 
italiane, curarle di più. Non è solo in questione "l'emergenza rifiuti" a Napoli, 
o l'ecomafia delle discariche. Ben oltre quei casi a sé, gli stranieri che scendono 
in Italia con la stagione delle vacanze commentano: "Città belle, ma sporche". 
Lo scrivono ai loro giornali, anche se pressoché dovunque le metropoli congestionate 
presentano sgradevoli scenari oltre ai guasti del pervasivo inquinamento. Altri 
visitatori della penisola, studiosi d'arte o scrittori, dedicano particolari attenzioni 
ai monumenti storici, quel complesso che i francesi chiamano patrìmoine e gli 
inglesi national heritage, segnalando l'incuria delle amministrazioni locali. 
"Eppure - ci ripetono - tante antiche piazze delle vostre città sono musei a cielo 
aperto". Esempio, lo scarso rispetto con il quale viene trattata piazza Navona 
tra Bernini e Borromini sopra i resti dello Stadio di Domiziano, inconcepibile 
per Place Vendôme a Parigi. Ma sulla decorosa tutela dei centri storici, e sul 
concetto stesso di decoro, i pareri divergono da tempo tra fautori della permissività 
e della severità. Basta ricordare le strenue dispute sugli usi di piazza San Marco 
a Venezia, dell'Arena di Verona, delle Terme di Caracalla, di piazza Sordello 
a Mantova o dei Loggiati degli Uffizi a Firenze. Chi vuole i luoghi celebri "vissuti" 
malgrado qualsiasi abuso, chi li vorrebbe invece "rispettati". Non potrebbero 
essere, insieme, vissuti e rispettati? Ma c'è di più, in tema di lassismo. Quanto 
costano i restauri sui marmi dei palazzi storici deturpati per gioco vandalico 
dalle vernici "spray", vantate come indelebili, che penetrano a fondo nelle antiche 
pietre? I giustificazionisti considerano simili sfregi come graffiti moderni, 
magari paragonabili a quelli pompeiani anziché a quelli della metropolitana di 
New York. Ma in massima parte risultano pretenziosi o demenziali sgorbi, a volte 
sfoghi dei fanatismi parapolitici e parasportivi, altre volte anonimi messaggi 
personali d'indole infantile. Se anche fossero classici graffiti firmati da Isso 
e Astilo redivivi, sarebbero anacronistici oltreché corrosivi sulle pietre antiche, 
mentre già recano danni costosi alle abitazioni, ai treni e agli autobus. Ma contro 
lo scempio, non opera un'efficace legge "antispray". Vincono i ludici bombolisti. 
E sulle disgrazie della vita urbana c'è ancora di più. L'estate, in queste città, 
è anche la stagione dell'inquinamento acustico notturno, senza centraline che 
possano misurarlo. Domina infatti la mania sagraiola delle radunate canore in 
piazza, spesso con impegno delle amministrazioni locali a favore dei bisognosi 
d'emozioni collettive, ma contro tutti gli altri che vogliono e devono dormire. 
A nulla valgono le suppliche, o proteste, con raccolte di firme. Dunque, ossessivi 
echi di voci e ritmiche percussioni, aggressivi suoni tecno, frastuoni propagati 
da potenti basi elettroniche. Non è deprecabile, s'intende, un concerto straordinario 
come quello recente di Paul McCartney ai Fori, ma lo strepito di ogni notte. All'aperto, 
non solo nelle discoteche e neanche nei parchi, ma fra le abitazioni. Si potrà 
obiettare che la città, in se stessa, è rumorosa. Ma senza limiti né misura? Si 
può anche ricordare che proteste contro i fragori notturni risalgono ai tempi 
antichi. Già nell'urbe giovenaliana, tIra un milione di cittadini romani e trasmigrati 
persiani, egizi, pannonici, siriaci, Decimo Giunio denunciava clamori che "anche 
a un druso, a un leone marino toglierebbero il sonno". Ma non aveva udito ancora 
niente.  Alberto 
Ronchey - Corriere della Sera 16/5/2003 |   |  |   
            | "Monumenti 
            in questo stato" |   
| Maggio 
                2003 |   | Non 
si possono ridurre i monumenti in questo stato. Un celebre film di John Landis 
s'intitola 'Tutto in una notte". Prendendo spunto dalla celebre pellicola del 
cineasta americano, i supporters della Sampdoria, nell'arco appunto della nottata 
tra sabato e domenica, non solo hanno trovato il tempo di festeggiare il ritorno 
in serie A, ma anche quello di ridurre piazza De Ferrari e dintorni in un graffito 
dalle tinte blucerchiate. 1 tifosi hanno lasciato il loro segno con le bombolette 
spray colorate sui muri di Palazzo Ducale, sui porticati dell'Accademia Ligustica 
e del Carlo Felice, e su tutti gli edifici che si affacciano su piazza De Ferrari. 
"Un vero scempio - ha detto senza mezzi termini Umberto Moretti, tifoso genoano 
- e lo dico anche se a fare questo fossero stati i tifosi genoani. Non si può 
ridurre una città così". Gli fa eco Adriana Bronzi che osserva che "i danni recati 
agli edifici ricordano un po' quelli del G8. Sarebbe stato più bello contenersi". 
Facce stupite anche tra i turisti. Michelle e Lucien Morniet, aggirandosi tra 
cocci di bottiglie e scritte sulla pavimentazione, hanno precisato che "in Francia, 
per festeggiare la nazionale campione del Mondo e d'Europa, nessuno aveva osato 
toccare i monumenti". Tra gli scalmanati c'è anche chi ha avuto l'idea di gettare 
un water, opportunamente dipinto di rossoblù, dentro la fontana di piazza De Ferrari. 
Risultato? L'impatto ha piegato alcune tubature dei getti d'acqua, ed i cocci, 
sommati a reggiseni, mutande, bicchieri, trombette e quant'altro, sono andati 
ad ostruire gli scarichi. Lavoro dunque per la ditta Isir, che ora dovrà svuotare 
la vasca, pulire e forse cambiare alcuni filtri. Tra i più arrabbiati, i commercianti 
della zona, che si sono trovati le serrande dipinte ed ammaccate. "A me hanno 
addirittura urinato sopra la porta", ha fatto notare Grazia Lisi commessa dell'Europarfums 
dal Carlo Felice. Mentre Fabrizio, barman del Bar dell'Accademia, si è visto saccheggiare 
il gelato dal frigo dei dessert e finire in pezzi i vasi dei fiori. "Stupita degli 
eccessi di un tifo maleducato" anche Margherita, titolare dell'edicola di fronte 
al Carlo Felice. Giuseppe 
D'Amico - Il Secolo XIX 20/5/2003  |   |  |   
            | Firenze: 
            la denuncia del Soprintendente |   |  |   |  
 |   | Possiamo 
salutare questo come un segnale del nuovo corso storico della Firenze del nuovo 
millennio. Un sintomo affatto nuovo nella cultura della tutela del patrimonio 
fiorentino. Il soprintendente ai beni architettonici si accorge dell'evidenza 
che accompagna la città da decenni. Riconosciamo il merito al nuovo soprintendente 
che è stato in grado di invertire la tendenza che ha caratterizzato il 
"pressapochismo" e spesso la negligenza dei passati funzionari 
di piazza Pitti 1 che non hanno mai avuto il coraggio ne tantomeno la deontologia 
professionale di garantire i mini criteri di tutela riconosciuti 
da tempo nelle carte del restauro. |   |  |   | "Basta 
                rifiuti.. " |   | "Basta rifiuti intorno ai monumenti, via i barboni 
dai loggiati delle chiese, basta parabole e antenne che deturpano il paesaggio: 
sono i tre cardini della nuova ''crociata'' lanciata da Domenico Valentino soprintendente 
per i beni architettonici di Firenze. L' attacco di Valentino nasce da alcune 
situazioni che vanno avanti da tempo e a cui il Comune non riesce a dare soluzione. 
A convivere con i rifiuti e' Orsanmichele, la chiesa museo a due passi 
da Piazza della Signoria. ''Tutti i pomeriggi i mezzi della nettezza urbana si 
radunano in via dell' arte della lana, davanti a Orsanmichele, e dai furgoni piccoli 
i rifiuti passano nel camion piu' grande. Il tutto avviene con i motori accessi 
che emettono gas di scarico molto dannosi per i monumenti. Il passaggio dei 
rifiuti - spiega Valentino - avviene in questa via perche' non disturba i 
negozianti. Ho parlato con gli assessori di Palazzo Vecchio chiedendo che si cambi 
metodo, ma niente accade''. Gli fa eco la direttrice di Orsanmichele, Francesca 
Nannelli: ''Caricano li' perche' davanti ai negozi creerebbero problemi, ma i 
commercianti devono pensare che i turisti vengono a Firenze per i monumenti e 
quando questi non ci saranno piu' sara' peggio anche per loro''. Dai rifiuti alle 
antenne e alle parabole. Stamani Valentino ha incontrato alcuni rappresentanti 
di Palazzo Vecchio. Avrebbe preferito ci fossero gli assessori anziche' i tecnici, 
ecco perche' il soprintendente dice che l' ''incontro e' stato quasi abortito''. 
Ma Valentino fara' comunque sapere al Comune le sue idee: ''Parabole trasparenti 
o del colore delle tegole dei tetti e possibilmente piu' piccole (30-35 cm); cercare 
di arrivare - magari con incentivi - nei grandi condomini ad avere una antenna 
e una parabola centralizzata; piu' attenzione al collocamento dei ripetitori per 
i cellulari''. Lo sfogo di Valentino termina con il rilancio dell' idea di montare 
cancellate a difesa di luoghi artistici, anche per impedire ai barboni di prendere 
domicilio sotto i loggiati delle chiese. ''Voglio le cancellate - ha detto - perche' 
nessuno vigila. La loggia della chiesa di Borgo San Jacopo, a due passi da Ponte 
Vecchio e' diventata la casa di un uomo che addirittura stende abiti e bucato. 
In questo caso la soluzione sembra in arrivo perche' mi hanno detto che la cancellata 
la metteranno. E poi c'e' la chiesa di Santa Maria dei Ricci il cui ingresso e' 
tappezzato da cartelloni e manifesti: e' indegno''. Insomma, per il soprintendente 
Valentino a Firenze c'e' ''scarsa attenzione per i monumenti''. (ANSA). 03/04/2003 |   |  |  torna 
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