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Messa in sicurezza antisismica
Prevenzione antisisimica
Maggio 2012 - Agosto 2017
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Patrimonio artistico abbandonato dai governi, manca ancora la 'messa in sicurezza' obbligatoria dei vecchi edifici

"Riportiamo il testo pubblicato nel 2009 in occasione del terremoto dell'Aquila: ci sono attualmente in Italia milioni di fabbricati in muratura a rischio sismico. Edifici costruiti, staticamente secondo 'sistemi scatolari' con muri portanti e di controvento, con l'abbinamento di materiali quali laterizio, pietra e murature miste. Com'è noto i materiali 'rigido-fragili' non resistono a trazione e non sono in grado di sopportare le azione dinamiche di un sisma. Senza interventi mirati di consolidamento sono destinati a collassare e a lesionarsi gravemente, parliamo anche di un numero consistente di edifici di grande valore storico-artistico. Nonostanze l'esistenza sul mercato di tecnologie disponibili (FRP, isolamento sismico, dissipatori, 'base isolation sistem') a costo accessibile anche con sgravi fiscali e il provedimento del 2009 (art. 11 D.L. n. 39 /2009), l'Italia continua a non investire in prevenzione antisismica limitandosi a stanziare milioni di euro a fondo perduto dopo ogni terremoto. Il nostro paese, notoriamente ricco di centri storici, non ha mai varato un piano di messa in sicurezza nazionale del patrimonio edilizio. Una drammatica realtà evidenziata ancora una volta dal terremoto dell'Emilia. Cosa stiamo aspettando ?" - La politica ha fallito

L.I. - maggio 2012

"L'Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica. La sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale della Penisola, lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), in Calabria e Sicilia e in alcune aree settentrionali, come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna non risente particolarmente di eventi sismici." Si può annullare il rischio sismico del patrimonio monumentale italiano? La risposta è no: l’invulnerabilità del tessuto storico è un’illusione ottica moderna. Ma la risposta è un “no” anche quando ci chiediamo se si è fatto tutto ciò che si poteva e si doveva fare per ridurlo al minimo, quel rischio. Nel 1983, il direttore dell’Istituto Centrale del Restauro Giovanni Urbani dedicò una serie di volumi e una mostra alla “Protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico”. Si trattava di un programma concretissimo in cui erano illustrati i singoli passi da percorrere per evitare che i futuri terremoti provocassero danni come quelli, tragici, dell’Emilia di oggi. La stima del 1983 parlava di una spesa globale di 2.700 miliardi di lire: meno di 5 miliardi di euro di oggi. Una cifra non piccola, certo: ma la costruzione delle “new town” de L’Aquila hanno speso quasi un miliardo di euro."

"Il Mibac di oggi mette a bilancio per il rischio sismico la miseria di 4 milioni e mezzo di euro (forniti peraltro da Arcus), e li spende tutti per la verifica dell’applicazione delle attuali linee guida a qualche decina di musei. Se si pensa che, sotto il ministero Bondi, Tremonti sottrasse al bilancio Mibac la bellezza di 1 miliardo e 300 milioni di euro, si avrà un’idea dell’irrilevanza dell’attuale politica di tutela preventiva. Il risultato paradossale è che oggi il patrimonio monumentale italiano è più esposto ai terremoti di quanto lo fosse due secoli fa. Oggi, infatti, la manutenzione ordinaria del patrimonio diffuso è totalmente trascurata, in nome degli “eventi” e dei restauri straordinari e mediatici concentrati su poche opere simbolo. Senza contare le frequenti inserzioni in cemento armato che minano le architetture storiche. Se non si riesce a far capire all’amministrazione comunale di Padova che la suprema Cappella degli Scrovegni di Giotto rischia l’inondazione a causa dei dissennati progetti di cementificazione limitrofa, figuriamoci se è possibile parlare di conservazione programmata su scala nazionale."

Tratto da Patrimonio artistico abbandonato dai governi di Tommaso Montanari "Il Fatto Quotidiano", 22 mag. 2012

"TORRI abbattute, chiese sventrate, centri storici mutilati: il terremoto dell´Emilia rinnova la tragedia che periodicamente colpisce il Paese. Con la perdita di vite umane, le distruzioni del patrimonio culturale sono la traccia più violenta che un terremoto si lascia dietro. Feriscono la memoria collettiva. Feriscono l´accumulo di storia che i nostri padri ci hanno lasciato, e che la Costituzione ci impone di preservare per i nostri nipoti. Spesso ci vantiamo di quanto sia grande l´arte italiana. Dimentichiamo però quanto sia fragile, perché fragile è il nostro territorio, il più franoso d´Europa (mezzo milione di frane censite nel 2007), il più soggetto al danno idrogeologico e all´erosione delle coste, anche per «interventi sull´ambiente invasivi e irreversibili» sui due terzi del territorio (dati Ispra). È, anche, il più soggetto a sismi, recentemente censiti da E. Guidoboni e G. Valensise: dall´Unità d´Italia a oggi, 34 terremoti distruttivi e un centinaio di meno gravi, senza contare migliaia di piccole scosse. 1.560 i Comuni colpiti, non meno di 250.000 i morti, 120.000 solo a Reggio e Messina nel 1908. Avezzano 1915, Garfagnana 1920, Carnia 1928, Irpinia 1962, Belice 1968, Friuli 1976, Noto 1990, Umbria e Marche 1997, Abruzzo 2009: sono le date di altrettante battaglie, anzi di una guerra continua che l´Italia combatte contro i terremoti. Con che esito? È triste constatare che a ogni terremoto ci consumiamo di lacrime, per poi dimenticare e sbalordirci quando il sisma colpisce di nuovo, e sempre nelle stesse aree. Resuscitare i morti è impossibile, ma sarebbe facile ridurne il numero, e insieme limitare i danni al patrimonio evitando i due principali fattori di rischio: il forsennato consumo di suolo che "sigillando" i suoli agricoli ne riduce l´elasticità e accresce gli effetti di frane e sismi; e l´addensarsi di edifici costruiti in spregio ai criteri antisismici "per risparmiare", cioè perché guadagni di più chi costruisce, condannando a morte i cittadini (per esempio all´Aquila)."

"L'amnesia collettiva che ci affligge spinge in direzione opposta, come mostrò il famigerato "piano casa" di Berlusconi (2009), che "semplificava" le norme antisismiche, invitando le Regioni a sostituire ogni garanzia preventiva con «controlli successivi alla costruzione, anche a campione» (art. 5). Il terremoto d´Abruzzo (due giorni dopo) bloccò l´approvazione della legge, mai varata anche se tutte le Regioni si affrettarono a fare le loro leggine. Il piano per la protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico messo a punto nel 1983 da Giovanni Urbani, grande direttore dell´Istituto Centrale per il Restauro, è rimasto lettera morta. Al contrario, il terremoto d´Abruzzo ha segnato una brusca inversione di rotta nella cultura italiana della tutela. Prima di allora (per esempio in Friuli e in Umbria), la ricostruzione dei centri storici era data per scontata: l´abbandono dell´Aquila (fino ad oggi, tre anni dopo) in favore delle new towns amate da Berlusconi e dai costruttori ha calpestato le priorità costituzionali, condannando alla rovina il patrimonio culturale e il tessuto sociale della città. ?"

"Accadrà lo stesso in Emilia? Anche stavolta, come col "piano casa" di Berlusconi, la sequenza fra i provvedimenti del governo e gli eventi naturali è drammatica. È di questi giorni l´annuncio del ministro Passera, secondo cui 100 miliardi verranno spesi nei prossimi anni in "grandi opere" per rilanciare l´economia. Ottima notizia, se per "grandi opere" si intendessero le necessarie, urgentissime misure per mettere il territorio nazionale in sicurezza dalle sue mille fragilità e non, come sembra, per continuare in una spietata cementificazione, figlia della mitologia bugiarda di una crescita infinita imperniata sull´edilizia, a scapito dell´ambiente, del paesaggio, dei cittadini. Ma se tutte le "grandi opere" si facessero continuando a ignorare la fragilità del territorio, l´Italia ne uscirebbe più debole, e non più forte. E con essa il suo patrimonio artistico, di cui solo a parole ci vantiamo, abbandonandolo intanto al suo destino (nulla è stato fatto per rimediare agli insensati tagli di Tremonti ai Beni Culturali nel 2008)."

"Il Presidente Napolitano, in un discorso a Vernazza, la cittadina delle Cinque Terre colpita da alluvione (quattro morti), ha detto che «bisogna affrontare il grande problema nazionale della tutela e della messa in sicurezza del territorio, passando dall´emergenza alla prevenzione». Dopo questo saggio monito, l´unico provvedimento concreto è stato, con sinistro tempismo, la "tassa sulla disgrazia" istituita con decreto legge del 15 maggio: in caso di calamità naturali (come il terremoto dell´Emilia), lo Stato se ne lava le mani. Nessuno avrà più un centesimo, se non aumentando le accise sulla benzina, cioè ridistribuendo i costi fra i cittadini (anche i disoccupati, anche i poveri); i cittadini (meglio: chi può) sono inoltre invitati a stipulare un´assicurazione (privata) contro le calamità. La domanda è dunque: può lo Stato abdicare al proprio compito primario di tutelare il territorio e l´eguaglianza dei cittadini? Può davvero promuovere, all´indomani di un terremoto, nuove cementificazioni e nuovi balzelli?"

SALVATORE SETTIS 21 maggio 2012, 'Una ferita per la nostra storia' LA REPUBBLICA

 

     
     
     
     
     
   

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